Il 13 novembre scorso la Camera dei deputati ha votato a maggioranza il decreto 131 che nell’articolo 6 in pratica conferma la validità della decisione governativa di considerare la cessione delle attività di Alitalia-SAI a ITA come regolare e quindi non eseguita in continuità, come invece risulta chiaramente dalla lettura del contratto, peraltro mai sottoposto all’ok della Camera di Commercio, come prescritto dalla legge. Una distorsione metafisica della realtà che di fatto potrebbe comportare, sempre che ci sia l’approvazione del Senato, dei danni ai lavoratori ex-Alitalia nelle varie cause che hanno intrapreso nei confronti di ITA e tendenti a una risoluzione della loro assunzione nel nuovo vettore in piena continuità. Abbiamo intervistato Antonio Amoroso, Segretario nazionale della CUB Trasporti.



L’attuale decisione politica può rappresentare, come quella presa nel 2008 dal Governo Berlusconi che licenziò i lavoratori di Alitalia Spa per seniority, un precedente estendibile all’intero mondo del lavoro italiano?

Con l’articolo 6 il Governo cambia le regole giuridiche che riguardano la cessione di un ramo d’azienda da una società all’altra, interpretando retroattivamente una legge di 24 anni fa, che ha regolamentato per diverso tempo queste operazioni e lo fa con un colpo di spugna nei confronti delle cause avviate dai ricorrenti lavoratori Alitalia. Un decreto che tenta addirittura di cambiare le regole di un’operazione a posteriori della sua effettuazione, quindi un atto ostile nel tentativo di spianare la strada alle resistenze che Lufthansa sta manifestando nell’acquisizione di ciò che resta di Alitalia e che è passato in ITA. È un atto oltremodo gravissimo perché rivela la falsità degli impegni e delle promesse che erano state fatte in campagna elettorale dal Governo Meloni e i suoi alleati sull’italianità che doveva rappresentare il vettore e i suoi servizi, che sono essenziali, alla nazione. Fatto che purtroppo si sta ripetendo con la cessione di TIM. Si è usato uno strumento giuridico non condivisibile dal punto di vista politico ma anche con ombre di legittimità costituzionale enormi, visto che, al pari che nel 2008 sempre con Alitalia, rivela il tentativo del Governo italiano di aggirare le norme europee che prevedono appunto la tutela occupazionale.



A questo punto cosa ritiene possibile fare per frenare questa onda che ci riporta molto indietro nel tempo, calcolando anche che le organizzazioni sindacali confederali non stanno facendo nulla a riguardo dei lavoratori, ma stanno appoggiando apertamente il Governo nell’accelerazione dell’operazione con Lufthansa?

Cosa si può fare? Qui bisogna dividere l’argomento in due ambiti, uno legale e l’altro sindacale. Dal primo punto di vista stiamo valutando un ricorso alla Corte Costituzionale perché l’articolo 6 presenta dei contenuti di incostituzionalità palesi, i quali ci sono stati rappresentati pure da esperti giuristi, che confermano l’opportunità. Questo però lo dovrà fare un parlamentare, ma il dato è certo perché pure quando venne costituita ITA si votò un decreto di modifica della 2112 contro quello che costituiva il regolamento Ue e i parlamentari non ebbero a disposizione il documento che lo confermava, al punto che l’allora Presidente della Camera Fico disse apertamente a Draghi che un fatto del genere non sarebbe più accaduto, ma è stato prontamente replicato proprio dalla seduta per l’approvazione del decreto attuale. Ripeto: vedremo se ci sarà un parlamentare disposto a ricorrere e se poi la Corte ripeterà invece che tutto si è svolto “regolarmente”. Poi però bisognerà rivolgersi alla Corte europea, i cui tempi purtroppo sono lunghi.



E per quanto riguarda l’ambito sindacale?

Dal punto di vista sindacale, invece, promuoveremo iniziative per poter rendere pubblico quello che sta succedendo, un vero e proprio aggiramento delle norme dell’Ue e scriveremo pure alla Corte europea. Ora: è anche evidente che i sindacati confederali non solo non commentano questo fatto, ma addirittura hanno sposato in pieno l’intero progetto, negando la possibilità per i lavoratori di ricorrere. Anche quando si fossero rivolti a legali delle organizzazioni sindacali stesse: la Cgil difatti impedì a questi ultimi di intraprendere le giuste cause e gli avvocati dovettero ridare il mandato, dicendo che la causa era fondata ma dato che il sindacato non l’aveva promossa, dovettero rigettare il ricorso.

(Guido Gazzoli)

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