Era un bel po’ di tempo, per la gioia di molti, che non scrivevo sulla paradossale (ma sarebbe meglio aggiungere metafisica) situazione del trasporto aereo nello Stivale, soprattutto riguardo la kafkiana compagnia ITA. Nella conferenza stampa di giovedì Mario Draghi ha ufficialmente annunciato che nel giro massimo di una decina di giorni la pirandelliana ITA troverà finalmente chi se la compra: questo dopo che la leader di FdI e probabilmente prossimo Primo Ministro (visti i sondaggi elettorali che danno il suo partito al primo posto) Giorgia Meloni aveva dichiarato chiaro e tondo che il nostro Paese aveva bisogno di un vettore nazionale, non certo ceduto ad altri Paesi.



Nello stesso giorno però il Ministro Franco (Economia e Finanze) ha detto altrettanto chiaramente che le due proposte ricevute finora (Lufthansa+MSC e Air France) non sono all’altezza di quanto richiesto. Il teatrino (a questo punto decisamente goldoniano) si è poi arricchito di un altro particolare curioso sulla proposta italo-tedesca: Lufthansa acquisirebbe il 20% della società, il Gruppo Aponte (MSC) il 60% e il Mef (ergo lo Stato) un altro 20%. 



Il dubbio che salta subito all’occhio è che MSC è una società svizzera e, a meno che lo Stato elvetico non richieda ora di entrare nell’Ue, ci troveremo di fronte a un mix contro le regole dell’Unione europea, che dicono chiaramente come la maggioranza di una compagnia aerea debba essere in mano a soggetti a essa appartenenti per non vedere limitata la propria operatività.

Insomma, un classico casino all’italiana che dovrebbe risolversi attraverso un “Lego” nel quale società italiane o europee legate a MSC si prendano la maggioranza. 

Fin da maggio scorso il Mef aveva fatto sapere che la sua quota doveva ritenersi transitoria, ma qui scatta un’altra domanda: da settembre, con un Governo forte appartenente al centrodestra, come potrà la “nuova” compagnia, costruita “al volo” (sic) sopravvivere?



Perch? sono chiare molte cose: anzitutto si sa benissimo come circa due anni fa due esperti (finalmente!) del trasporto aereo come Ugo Arrigo e Gaetano Intrieri avessero elaborato un piano di sviluppo di Alitalia che prevedeva una flotta di circa 300 aerei, quindi un vettore a livello mondiale. La cosa, concordata con l’ex ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli durò poco, perché si bloccò in quanto che Alitalia “era ormai di Lufthansa” .

Roba vecchia, quindi, che torna all’ordine del giorno ora. Ma a questo punto la cosa curiosa è che pure i sindacati vogliono questo strano matrimonio, anche per evitare la spinosa questione inerente le cause messe in piedi da diversi gruppi di avvocati per conto degli oltre 5,000 dipendenti ex Alitalia che attualmente si trovano in Cassa integrazione (cioè fuori dal mondo del lavoro) e che se il tutto dovesse saltare rischierebbero di trovarsi senza attività ad età spesso avanzate e però lontani dalla pensione.

Ho letto e condiviso gli ultimi tre articoli, pubblicati sulla questione ITA, da valentissimi ed esperti colleghi: che in sostanza dicono come la questione sia irrinunciabile per il nostro Paese, anche perché non solo abbiamo già svenduto (attraverso Governi compiacenti e al contrario di tante altre nazioni europee) asset importanti per la nostra economia oppure ci siamo accorti in ritardo della loro cessione (uno su tutti la famosa questione Fca-Stellantis dove ormai la Francia detiene il 51% dell’ex industria torinese), ma qui si rischia veramente di consegnare un asset vitale per il turismo a una lobby straniera ancora più grande dell’attuale.

Vi ricordate quando sedicenti “esperti” urlavano ai quattro venti la bellezza delle compagnie low cost che per appena 20 euro ti portavano ai 4 angoli dell’Europa? Accadde 20 anni fa fino a scoprire poi che lo stesso Stato Italiano, attraverso Società di gestione di aeroporti periferici, Regioni e Province, di fatto finanziava una penetrazione nel mercato di questo genere di vettori che alla fine si è rivelata la maggiore d’Europa. Con quali conseguenze lo vediamo ora: tariffe che di low non hanno assolutamente nulla e mercato in mano a una lobby: alla faccia della “libera ” concorrenza. Ora l’arrivo di un vettore straniero che alla fine si pappa ITA significa che, ripeto, al contrario di altre nazioni europee, l’Italia non avrà più parola nel settore.

Insomma, da nazione guida nel settore aeronautico fin dagli albori dell’aviazione e con una ex compagnia di bandiera il cui marchio, guarda caso acquisito da ITA per 90 milioni di euro, costituisce ancora un appeal e simbolo dell’Italia nel mondo, spariremmo dalla circolazione.

Pur se i numeri potremmo ancora averli: visto che disponiamo di quella cultura che, sebbene stroncata prima dai “capitani coraggiosi” di berlusconiana memoria, fino ad arrivare alla gestione francamente enigmatica e rissosa di ITA, ancora esiste ed è fatta da manager capaci e maestranze altamente professionali che però, per la maggior parte, sono fuori dal perimetro aziendale.

Anni fa, verso il 2010, partecipai a un incontro su Malpensa svoltosi a Milano, nel quale conobbi l’allora manager Lufthansa per l’Italia. Che molto candidamente mi disse come, in caso di crisi, l’ultima cosa che avrebbe fatto sarebbe stata quella di licenziare i dipendenti più “anziani” per due ragioni. La prima quella dell’osmosi generazionale che permette il passaggio della cultura del settore. La seconda economica: “Su questi dipendenti, per la loro formazione e addestramento, abbiamo investito e continuiamo a investire capitali ingentissimi. Farli fuori significherebbe chiudere e buttare valanghe di soldi dalla finestra”.

Qui il refrain di questi ultimi venti anni di Alitalia è sempre stato lo stesso: ridurre un “capitale umano” etichettato come “parassita” da certa stampa ignorante (che continua con il refrain) oppure “privilegiato” . Ecco: negli articoli precedenti al mio, i colleghi hanno suggerito diverse idee per risolvere la spinosa questione, tutta italiana nelle sue contraddizioni. I piani ci sono, ma soprattutto il decollo della “nuova Alitalia” sarà possibile solo se i serbatoi del velivolo avranno fatto il pieno di cultura. Che anche qui il nostro Paese ancora possiede, pur se la politica sta facendo del suo meglio, da anni, per distruggerla.

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