Per ITA Airways, la compagnia aerea detenuta dal Tesoro, è scattata a mezzanotte del 21 agosto l’ora  X. A quell’ora, infatti, scadevano i termini per le due cordate Certares, da una parte, e Msc-Lufthansa, dall’altra, per aggiornare le offerte così come richiesto nelle scorse settimane dal Mef.

Cerchiamo di capire cosa chiede lo Stato alle due cordate e quali sarebbero successivamente le strategie che potrebbero essere messe in campo dalle due cordate qualora una delle due dovesse aggiudicarsi la gara.



Lo Stato (il Mef) di fatto chiede una maggiore presenza nel Consiglio di amministrazione e un maggiore peso nelle scelte strategiche, tutte questioni che male s’inquadrano con la conduzione di una società che deve compiere scelte non in base alle esigenze della politica in senso spicciolo, ma esclusivamente in base a politiche di tipo operativo e strategico.



Avendo ormai chiuso le partite dell’handling e della manutenzione, la concentrazione è diretta alla scelta dell’hub sul quale investire. Quindi, le differenze tra le due cordate in relazione alle ultime offerte presentate il 21 agosto sembrano essere veramente minime. Ma prima di affrontare la questione degli hub è necessario fare una piccola premessa: del piano industriale illustrato alle Camere in seduta di commissione lo scorso dicembre 2020 dal management di ITA, molto probabilmente, sono rimaste solamente le slide.

I dati parlano chiaro: la compagnia avrebbe perso circa 300 milioni nel primo semestre e si accingerebbe a perderne almeno altri 250 nel secondo al netto di tutti gli investimenti. Senza troppi giri di parole, ITA Airways, per com’è messa oggi, con l’avvicinarsi della stagione invernale e quindi con il relativo calo di traffico, se non dovesse ricevere una forte iniezione di denaro fresco rischierebbe un veloce tracollo finanziario.



Più di qualcuno mi ha fatto notare in questi giorni che la partita di ITA potrebbe concludersi con una messa in liquidazione della compagnia se non si troveranno al più presto delle soluzioni industriali. Ecco che la vendita a un soggetto terzo risolverebbe sicuramente alcuni e importanti  problemi di natura economica, ma ne aprirebbe altri di natura meramente strategica e anche politica. Ed è proprio in questo lembo di terra che si sta per giocare la partita proprio a livello politico.

Non è un caso che Fratelli d’Italia, con Giorgia Meloni e l’On. Fabio Rampelli, abbiano inviato nei giorni scorsi alla corte del presidente del Consiglio Mario Draghi missive molto chiare su quale dovrà  essere il futuro della compagnia di bandiera Alitalia-ITA, futuro che secondo la Meloni dovrà essere deciso dal nuovo Governo che uscirà dalle urne il prossimo 25 settembre.

Ritornando alla questione hub, se da un lato il gruppo Msc-Lufthansa crede nella creazione di un polo cargo a Malpensa e nello sviluppo dei voli versi i propri hub di Monaco e Francoforte, e quindi anche sullo sviluppo degli hub minori come quello di Svizzera e Austria utilizzando lo scalo di Linate, il fondo Certares invece punta diretto sullo sviluppo di Fiumicino e dei voli sul Nord America potendo avvalersi della fattiva e tutt’altro che disinteressata collaborazione di Delta e Air France-Klm.

Dove sta la fregatura per noi italiani? Da anni il nostro Governo è alle prese con un forte dilemma sulla questione che divide non solo i lombardi ma anche tutta la politica italiana: che fare con gli aeroporti di Milano Malpensa e Linate?

A giudizio di chi scrive il Governo che arriverà a ottobre potrebbe fare delle scelte impopolari, ma sicuramente molto coraggiose e finalmente lungimiranti. Ma con dei distinguo e vediamo quali.

Prima ipotesi: chiusura di Linate

La prima ipotesi è quella di chiudere definitivamente Linate al traffico commerciale e portare tutto il traffico a Malpensa. Per fare tutto ciò è necessario, però, che i collegamenti siano veloci quindi vi è la necessità di dotare la stazione di Malpensa di un treno veloce, con frequenze multiple e ben collegato con tutte le città del centro-nord. Ecco che allora che lo scalo di Malpensa avrebbe finalmente un senso logico e si potrebbe quindi creare il polo Malpensa-Fiumicino molto simile a quello Francoforte-Monaco che in Germania funziona benissimo ormai da molti anni.

Seconda ipotesi  (che è anche quella più corretta): la chiusura parziale dello scalo di Malpensa

L’idea è quella di chiudere parzialmente Milano Malpensa ai voli commerciali e utilizzare l’aeroporto varesino per creare un polo esclusivamente cargo che diventerebbe il riferimento nevralgico del sistema Intermodale del Sud Europa, con una parte dedicata esclusivamente alle compagnie aeree low cost che verrebbero trasferite da Linate a Malpensa.

La Lega di Matteo Salvini sicuramente ne soffrirebbe all’inizio per le battaglie fatte contro la chiusura di Malpensa, ma questa trasformazione è necessaria se si vogliono creare le condizioni per arginare l’ingresso delle low cost che hanno fatto man bassa degli spazi lasciati vuoti da Alitalia-ITA. Linate resterebbe come city airport con un traffico leggermente più modesto, ma a favore di una dimensione del trasporto aereo italiano sicuramente più ampia e organizzata e strategicamente corretta, che non consentirebbe più alle low cost di spadroneggiare come hanno fatto fino a oggi.

Follia pura? No pura strategia che nessuno vuole adottare per paura di perdere il proprio elettorato.

Quando Giancarlo Cimoli nel 2004 venne nominato dal Governo Berlusconi Presidente di Alitalia, vedendo i conti della compagnia affermò che Malpensa andava chiusa. All’epoca ci fu una forte presa di posizione della Lega Nord sul tema e Cimoli dovette desistere. Ma con il senno di poi quella sarebbe stata una giusta scelta per una compagnia di bandiera, e cioè quella di focalizzare le proprie risorse sull’hub principale di Roma Fiumicino, e di cominciare a creare collegamenti intercontinentali (quelli più remunerativi) verso il Nord America e altre destinazioni di interesse turistico, anche da altre città d’Italia come ad esempio Venezia, Napoli, Pisa, Catania, alla stregua di ciò che già fanno altre compagnie aeree sul nostro territorio da anni e che noi non siamo mai stati capaci di fare.

Ecco quindi che si avrebbe non solo un sistema di protezione verso la concorrenza straniera in modo assolutamente legittimo e senza violare trattati e accordi internazionali e europei, ma si creerebbero anche le condizioni per rendere la compagnia aerea dello Stato profittevole e duratura.

Se poi il tutto viene contornato con una vera divisione tra lungo raggio e medio e corto raggio attraverso la creazione di una low cost tutta italiana (la vecchia ATI Aero Trasporti Italiani), allora la partita diventerebbe veramente interessante e le low cost straniere dovrebbero rivedere molti dei loro piani di espansione sul nostro territorio.

L’Italia con oltre 150 milioni di viaggiatori l’anno è una delle prime mete turistiche mondiali. Non comprendere che la capacità di intercettare almeno una buona parte di questi viaggiatori è la strategia giusta per avere il controllo dei nostro trasporto aereo e del turismo e che poi questo non solo si tramuta  in profitto per la compagnia, ma anche per tutto ciò che le gira attorno,  è di fatto non voler vedere ciò che ci sta proprio davanti al naso e che stiamo perdendo.

Siamo ancora in tempo per poter ribaltare la situazione in cui versa la compagnia dello Stato, con qualcuno che voglia finalmente vederci chiaro fino in fondo, oppure è già troppo tardi? Che sia la volta buona per rimettere al centro gli interessi del nostro Paese o lasceremo ancora una volta strada libera alla concorrenza straniera?

Tutte domande alle quali tra pochi giorni potremo dare un risposta.

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