Senza entrare nel merito delle criticità strategiche e gestionali e, ancor più, della debolezza degli assunti programmatici del piano industriale di ITA Airways, argomenti peraltro ampiamente anticipati da diversi analisti ben prima della partenza di ITA e tutti confermati dai fatti, ci interessa in questa analisi provare a comprendere quali siano state piuttosto le motivazioni che spinsero, nella primavera/estate del 2021 gli stakeholders a decidere il trasferimento delle attività Aviation di Alitalia in AS (amministrazione straordinaria, ndr) a ITA Airways mediante un impianto contrattuale davvero singolare e rischioso, ovvero il famoso contratto secretato del valore di un euro.
Proviamo a ricostruire il contesto dell’epoca. Non è difficile ipotizzare che al tavolo della partita sui destini di Alitalia e ITA vi fossero soltanto tre soggetti muniti di reali poteri decisionali e nello specifico: la direzione generale del Mef (nel ruolo di socio unico di ITA e acquirente del ramo Aviation), il collegio commissariale di Alitalia SAI in AS (nel ruolo di venditore del ramo Aviation),la Commissione europea (nel ruolo di arbitro e garante della discontinuità economica tra Alitalia e ITA).
Tre soggetti che, com’è facile immaginare, erano alla ricerca di una soluzione praticabile e legittima che potesse caricare il “peso” della transazione quanto più possibile sulle parti meno forti, o più facilmente “gestibili dalla politica”, ovvero i creditori della AS (prevalentemente concessionari pubblici e banche) e i dipendenti ex-Alitalia. Questa volta la parte storicamente più debole dei riassetti Alitalia, ovvero i contribuenti italiani, era stata in qualche modo tutelata ab origine dalla quantità massima di denaro che la Commissione europea aveva autorizzato come “spesa pubblica” per lo Stato italiano (tramite Mef) per accompagnare il “travaso” delle attività da Alitalia a ITA, ovvero un massimo di 1,35 miliardi di euro.
Il primo e più importante scoglio da superare era quindi proprio quello relativo alla limitazione del capitale di ITA e all’impossibilità di accedere al credito bancario, e più in generale al mercato dei capitali, per l’assenza di un piano industriale e di un management credibili.
Ricordiamo infatti che le attività di trasporto aereo di Alitalia degli ultimi 20 anni avevano sempre perso mediamente 400/500 milioni di euro annui e quindi, anche nella più ottimistica delle previsioni economiche. come il Mef sapeva bene, non ci sarebbe stata alcuna disponibilità di cassa per poter riconoscere ad Alitalia in AS un valore per la cessione degli avviamenti commerciali, riconducibili alla titolarità degli slot aeroportuali.
Un bel problema per la parte venditrice rappresentata dal collegio commissariale che teoricamente, in una logica meramente liquidatoria, avrebbe dovuto esclusivamente tutelare gli interessi dei creditori vendendo al meglio sul mercato tutto ciò che era vendibile, inclusi rami aziendali con slot pregiati (un’eventuale libera cessione del solo ramo aziendale “Milano Linate” avrebbe avuto un valore di mercato non inferiore a 1-1,5 miliardi di euro). Ma in una prospettiva di continuità aziendale “obbligata ed esclusiva” (mantenimento degli assetti e delle capacità industriali per una prosecuzione delle attività in ITA e poi nell’ambito di un altro grande gruppo industriale del settore) come quella stabilita, e sempre confermata, dalle molteplici norme italiane succedutesi nel merito del commissariamento di Alitalia, non avrebbe potuto esimersi dal farsi riconoscere anche dall’acquirente ITA, per una pur ridotta tutela dei creditori, un prezzo per gli avviamenti/slot.
Insomma, è facile ipotizzare che il collegio commissariale di Alitalia in AS, nel formalizzare la procedura di cessione e nel definire il perimetro dell’incarico a terzi relativo alla valutazione del ramo Aviation, si sia trovato di fronte a una problematica molto complessa e, in base alle norme, senza una soluzione accettabile dalla parte acquirente (ITA).
Parallelamente, possiamo supporre che ci si muovesse anche sul secondo importante obiettivo di ITA, ovvero quello di ridurre, in modo certo e quindi prima della partenza prevista per il 15 ottobre 2021, il costo del lavoro dell’area Aviation (sostanzialmente personale navigante) rispetto alla vecchia Alitalia, selezionando i dipendenti da trasferire, riducendone il numero e le retribuzioni e aumentando la produttività.
Per quanto attiene il costo del lavoro occorre preliminarmente ricordare che dal 2017 in poi Alitalia in AS aveva sempre beneficiato della cassa integrazione a rotazione con la quale il problema dei dipendenti in esubero e della bassa produttività era stato comunque in larga parte arginato, seppur scaricandone l’onere sull’Inps e sul Fondo del Trasporto Aereo pagato sostanzialmente dai passeggeri degli aeroporti italiani. Paradossalmente, quindi, se ITA Airways (in bonis e quindi senza cassa integrazione) fosse partita con il vecchio contratto di lavoro, ma senza ammortizzatori sociali, anche se con un numero di dipendenti naviganti di molto inferiore a quello di Alitalia in AS parametrato ai 52 aerei iniziali, avrebbe consuntivato un costo del lavoro del tutto analogo a quello precedente di Alitalia. D’altra parte, il piano industriale di ITA Airways approvato dall’Ue prevedeva, esso stesso, la definizione di una nuova, meno onerosa, piattaforma contrattuale per non meno di 800 milioni di euro.
In tale situazione la definizione di un nuovo contratto di lavoro dei naviganti mediante la negoziazione con le parti sindacali nell’ambito di un trasferimento di ramo aziendale, come peraltro previsto dalla normativa italiana (2112 c.c.) e dalla stessa Decisione della Commissione Ue del 10 set 2021 [1], sembrava, in un certo senso una strada obbligata che però, come controindicazione, avrebbe sancito inequivocabilmente la cessione del ramo Aviation Alitalia con la necessità di valutare e di pagare i relativi pluridecennali avviamenti commerciali.
Tornando al disegno generale, possiamo ipotizzare quindi che, al momento delle decisioni, il contesto venutosi a creare non avrebbe permesso di coniugare all’interno di una medesima procedura di cessione i seguenti principali obiettivi: l’assenza, nella perizia indipendente, di un valore economico per gli slot, stimabile in circa 800 milioni di euro, il trasferimento di un ramo aziendale Aviation completo, autonomo e funzionante, per un corretto trasferimento degli slot, l’assenza di una continuità economica, onde evitare la restituzione degli aiuti di Stato incassati da Alitalia negli anni precedenti, la volontà di “selezionare” il personale da trasferire in ITA per ridurre il costo del lavoro e controllare la dialettica interna.
Tutto ciò fece presumibilmente convergere gli stakeholders verso una sorta di “male minore” costituito, nella pratica, da un contratto di cessione del ramo Aviation “sufficientemente ambiguo” da poter essere interpretato, seppur con qualche forzatura, in Europa, come contratto di cessione di ramo aziendale ai fini del mantenimento degli slot aeroportuali e, in Italia, come compravendita di una pluralità di beni e servizi (perimetro Aviation) senza personale. Il personale ex-Alitalia necessario, come poi avvenuto, sarebbe stato assunto da ITA Airways tramite singole lettere di impegno, emesse nel settembre 2021 e aventi data di assunzione 15 ottobre 2021 (o giorni successivi), e l’applicazione di un semplice regolamento aziendale [2] da parte di ITA Airways. Uno schema contrattuale che, nell’insieme e quantomeno sulla carta, avrebbe portato all’acquisto di tutti i beni materiali e immateriali necessari per l’avvio delle attività di ITA (perimetro Aviation) e non al passaggio di controllo di un ramo aziendale funzionalmente autonomo e commercialmente avviato.
In particolare, è opportuno evidenziare che il contratto di “non cessione” del ramo Aviation include, oltre a un elenco esaustivo di tutti i beni e i servizi necessari per il trasferimento di attività aeronautiche, anche, e addirittura, l’elenco del personale ex-Alitalia assunto con lettera separata, nonché tutti i dati sensibili del personale ex-Alitalia, inclusivo anche di coloro che sono passati a Swissport e Atitech e di coloro che sono, a tutt’oggi, ancora in cassa integrazione.
Insomma, un bel pasticcio all’italiana, che potrebbe, forse, risultare implementabile in contesti industriali meno complessi e meno regolamentati, ma risulta oggettivamente caratterizzato da profili di legalità nazionale e internazionale molto discutibili nell’ambito del trasporto aereo europeo, vista anche l’assenza di casi precedenti assimilabili.
Complessivamente una strategia, peraltro di un’azienda al 100% dello Stato, ad altissimo rischio “patrimoniale” e di “sopravvivenza” con particolare riferimento a quel trasferimento, e quindi a quella titolarità degli slot aeroportuali attualmente utilizzati da ITA, che la Corte di Giustizia, a fronte dei futuri probabili ricorsi dei vettori concorrenti, potrebbe facilmente dichiarare non conforme alle regole europee [3].
In conclusione, oltre al solito sperpero di denaro pubblico possiamo tranquillamente affermare che con il rientro di Alitalia/ITA nella sfera pubblica si è anche scritta una delle pagine più buie per lo stato di diritto.
La palla ora dovrebbe passare al vettore Lufthansa che, dopo aver restituito il mega prestito pubblico tedesco del 2020, ha avuto la lungimiranza di attendere al capolinea ITA Airways dove tutti sapevano che sarebbe presto arrivata. Capolinea che coincide esattamente con l’esaurimento di quei 1,35 miliardi di denaro pubblico autorizzati dall’Ue, cosa che avverrà, nella migliore delle ipotesi, all’inizio del prossimo anno.
Prendere il timone della nave Alitalia/ITA però, come sappiamo, costa, almeno per primi 12 mesi, oltre 1,5 milioni di euro al giorno, e l’Italia non è un mare facile. Vedremo se l’approccio ordinato dei tedeschi riuscirà a domare il caos nostrano.
(3 – fine)
[1] Vedi Decisione della Commissione del 10/09/2021 sull’aiuto di Stato in favore di Alitalia SA.48171 (2018/C) (ex 2018/NN, ex 2017/FC) cui l’Italia ha dato esecuzione.
[2] Regolamento poi trasformato in contratto di lavoro in data 2 dicembre 2021 e successivamente modificato nel 2023.
[3] Gli amministratori di ITA, peraltro, nel bilancio 2021 non ne dichiarano la presenza nel novero dei beni acquisiti da Alitalia, come se l’asset trasferito, al quale è riconducibile in sostanza l’intero valore economico del ramo ceduto, fosse privo di valore.
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