Manager, economista, consulente d’azienda ma soprattutto un pensatore oltre gli schemi della “banale” lettura di come va il nostro Paese sotto più punti di vista: è Roger Abravanel, intervistato oggi da “La Verità” per un commento ragionato alla situazione attuale dell’economia italiana nel pieno della pandemia e in costante semi-lockdown. Ecco, il giudizio è tutt’altro che positivo e viene inserito anche nel suo ultimo saggio “Aristocrazia 2.0. Una nuova élite per salvare l’Italia”: «l’Italia rischia di fare la fine dell’Argentina», spiega l’ex consulente di McKinsey, «Avevo pronto questo libro prima del Covid e, dopo l’avvento dell’emergenaz sanitaria, ne ho riscritte 200 pagine su 300. In Italia manca una diagnosi del perché la nostra economia abbia problemi. Si dice siamo fermi da 15 anni, ma lo siamo da 40, in realtà».
Abravanel non ama i modi indiretti per cominciare e va dritto al punto anche questa volta: «fannulloni del Sud e Nord che cresce? Palle. Il Nord è fermo: eravamo ammalati molto prima del Covid, ci siamo persi le transizioni economi- che, non valorizziamo il talento. Inutile illudersi che finita la pandemia si tornerà a lavorare come prima, il mondo è cambiato. Si accelererà l’economia della conoscenza – pensi all’e-commerce – e noi siamo già molto deboli». Il problema del Pil italiano è qualcosa che non dovrebbe far dormire la notte nessun cittadino, figuriamoci le autorità che hanno a che fare con i conti del nostro Paese: «Negli ultimi trent’anni l’economia italiana ha perso 32 punti di Pil, quasi 500 miliardi di euro, nei confronti della zona Euro, pari al Pil della Grecia e del Portogallo sommati. E ben 61% di Pil nei confronti degli Usa: 990 miliardi, un valore tra il Pil della Turchia e quello della Spagna».
COME USCIRE DALLO STALLO
«Rischiamo di non riprenderci più», lancia l’allarme Roger Abravanel sempre dalle colonne de “La Verità”: Stato fermo da 40 anni immerso nei distretti delle piccole aziende perdendo il grande treno delle transizioni dell’economia mondiale. Il problema non è solo degli imprenditori ma di chi affida le proprie aziende ai figli e ai direttori più fedeli e non più competenti e bravi: «Un ecosistema di banche ha dato credito a chi non lo meritava. I media sono stati complici. E i salotti sono restati chiusi alla competizione, senza della meritocrazia», lamenta il manager e consulente. Capitalismo “familista” è dunque uno dei problemi più gravi della nostra economia, ma mica l’unico: “colpevoli” anche le università – «che non hanno saputo trasformarsi e non formano al lavoro» – e lo Stato inteso più come potere giuridico che non come classe politica.
«I presunti fannulloni sono i burocrati, ma sono solo vittime di un potere giuridico che non ha eguali in Europa in quanto ad autoreferenzialità. Questo potere glielo abbiamo dato noi italiani, che pensiamo che la pubblica amministrazione e la politica italiana siano più corrotti della Nigeria. Non è un problema dei singoli magistrati, ce ne sono di eccellenti, ma di un sistema che pensa al bene della propria categoria, governato dall’Anm», attacca durissimo Abravanel. Tre maxi problemi e tre maxi soluzioni, possibili, per evitare di finire come l’Argentina: «Primo: utilizzare i soldi dell’Europa non per statalizzare o far nascere altre Alitalia, ma per far sì che lo stato diventi magnete di capitale intelligente. Secondo: far nascere eccellenze universitarie. Il politecnico Eth di Zurigo riceve 1 miliardo e 100 milioni di fondi pubblici contro i 260 milioni di euro del Politecnico di Milano con la metà degli studenti […] I problemi dell’economia non li risolveremo con più investimenti pubblici, ma con più capitale privato aperto alla competizione».