Sorprende tutta questa sorpresa: sembra si scopra solo adesso che le risorse europee per la ripresa, quei 209 miliardi di euro tra prestiti ed elargizioni a fondo perduto, arriveranno l’anno prossimo. Ma non era chiaro fin dall’inizio? Sì, è vero, era trapelato che forse poteva esserci un anticipo a fronte di precise richieste, ma il Governo italiano, a differenza da quello francese, non ha ancora preparato il suo piano. Il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri annuncia che sta lavorando a una riforma fiscale; bene, era ora, ma con quali fondi? Non con quelli del Next generation EU, né, tanto meno, con quelli del Meccanismo europeo di stabilità. O meglio, se il Governo facesse ricorso al Mes e ottenesse una ventina di miliardi da destinare alla sanità direttamente o indirettamente, si libererebbe spazio per ridurre le imposte. Ma su questo il Movimento 5 Stelle fa le barricate: il Mes mai e poi mani.



E allora? Altro debito? Dopo aver staccato assegni per cento miliardi di euro, non sembra proponibile. Si può finalmente mettere mano a quella parte della spesa corrente parassitaria più che assistenziale, elargizioni clientelari, rendite di posizione, sprechi, ma scenderebbero in piazza i forconi, i gilet gialli, quelli verdi, quelli rossi.



Insomma, c’è confusione sulle risorse (quante e come) da trovare e su come impiegarle. “Confusion de confusiones” scriveva nel 1688 Joseph de la Vega, mercante di diamanti e letterato, ebreo sefardita di origine spagnola, nel suo libro rimasto famoso perché descriveva il funzionamento della borsa di Amsterdam, la più importante al mondo. La bolla dei tulipani era scoppiata cinquant’anni prima, ma apparentemente non aveva insegnato nulla, passata la buriana tutto era ricominciato con lo stesso “comportamento da gregge” e la stessa incapacità di imparare dagli errori. Insomma, quel che sta accadendo ancor oggi nell’Italia che dovrebbe e vorrebbe uscire dalla pandemia.



La confusione regna anche riguardo alle priorità. Da giorni i grandi quotidiani titolano che il piano è pronto. Ma poi pubblicano solo i titoli di capitoli vuoti. Ricordiamo tutti che fino a poco fa non si faceva altro che parlare di investimenti pubblici e infrastrutture. Ebbene, stando a quel che ha scritto il Corriere della Sera, proprio questo è il dossier più vago. Lo sblocca-cantieri ha sbloccato l’11% delle opere, la semplificazione si scopre meno semplice di quel che sembrava, la Gronda di Genova “si farà” promette la ministra delle Infrastrutture Paola De Micheli, parlando al futuro. Spunta l’eterna illusione del ponte sullo stretto di Messina (che forse sarà un tunnel con piste ciclabili). Il mitico modello Genova non verrà applicato al contrario di quel che si era strombazzato: è vero che ci saranno i commissari, ma saranno una cinquantina, uno per progetto considerato di maggior interesse, e avranno poteri minori, questo lo dice la stessa ministra.

Alla sanità verranno destinate risorse importanti, così viene annunciato. Però è ancora incerto quante e soprattutto non si è visto un vero piano sanitario che non è soltanto assumere più medici e infermieri, né aprire qualche presidio locale erroneamente chiuso, ma stabilire se alcune competenze passeranno al Governo centrale, per esempio nelle risposte alle emergenze, e se il sistema sanitario compirà un salto tecnologico con l’ingresso massiccio delle tecnologie digitali. Sarà possibile avere cartelle sanitarie disponibili online ovunque si vada, così da poter tracciare facilmente la storia sanitaria di ogni cittadino? Il flop della applicazione Immuni non promette bene.

Sulla scuola, incrociamo le dita. È interesse di tutti che la riapertura non si trasformi in un fallimento. Servano da monito le esperienze negative di molti Paesi stranieri tradizionalmente meglio organizzati dell’Italia. Ma anche se tutti i banchi arrivassero in tempo e la fornitura di mascherine fosse sufficiente, resta la povertà del dibattito sull’istruzione in tempo di pandemia, sui contenuti e i modi dell’insegnamento. Lo stesso può dirsi sulla nuova dimensione del lavoro, quello a distanza, smart o agile che dir si voglia. Le maggiori imprese stimano che in media il 30% dei loro dipendenti lavoreranno a distanza, alcune hanno già messo in vendita un terzo degli uffici, l’intera intelaiatura delle città e delle aree metropolitane è destinata a cambiare. L’impatto sull’occupazione, sui servizi, sul rapporto tra vita e lavoro sarà enorme. Ma in Italia sembra una questione da giuslavoristi o da sociologi.

Molte di queste carenze rivelano un’impreparazione culturale di fronte a cambiamenti che erano già in corso, ma hanno subito un’accelerazione tanto drammatica quanto improvvisa. Ma molto dipende anche da ragioni squisitamente politiche, sì della politique politicienne. Prendiamo le grandi opere. Sono rimaste così nel vago perché il M5S non le vuole. Non era solo Danilo Toninelli, sono i tanti Toninelli dei quali è composto il movimento e soprattutto è lo stesso Grillo. Lo stesso vale per il ricorso al Mes. Ciò non vuol dire che il Pd abbia le idee chiare e proceda come una centuria romana. Il teatrino di interviste, battute, messaggi sui social media, sta lì a dimostrarlo.

La confusion de confusiones sulle priorità, sulle risorse da reperire e sul loro uso, dunque, dipende in modo rilevante dalle divergenze politiche, da un Governo che mostra apertamente le sue divisioni nel momento in cui bisogna affrontare la ripresa che richiede scelte di più lungo periodo. La maggioranza, insomma, dovrebbe fare chiarezza al proprio interno, e poi aprirsi al contributo anche dell’opposizione. Adesso tutto è congelato fino alle elezioni, ma dopo il 21 le cose cambieranno? Chiunque vinca, sembra proprio di no.