Al termine della giornata più angosciante dallo scoppio dell’epidemia di coronavirus (un’ecatombe di 793 morti e 4.821 contagiati nelle 24 ore), Giuseppe Conte è apparso nuovamente in televisione a reti unificate per annunciare l’ennesimo giro di vite. Sono passate appena 24 ore dalla precedente stretta, che in realtà prevedeva misure alquanto blande: divieto di andare nelle seconde case nei giorni festivi e prefestivi (di lunedì sarebbe stato lecito?), chiusura dei parchi pubblici e soprattutto durata limitata al 25 marzo, cioè questo mercoledì, giorno di scadenza del precedente decreto del presidente del Consiglio. Un palliativo. Ieri invece il passo è stato grave, perché sancisce la chiusura di tutte le attività produttive non strettamente necessarie.



Giuseppe Conte ha parlato alle 23,30 dopo una serata in cui aveva concordato con associazioni di categoria e sindacati le modalità del nuovo blocco. Il fatto è che il governo è stato costretto a rincorrere ancora una volta i governatori del Nord, i primi a lanciare gli allarmi sul precipitare della situazione, quelli che devono strillare ancora più forte per fare in modo che la loro voce da Venezia e Milano arrivi fino a Roma. Venerdì è stato il veneto Luca Zaia a emanare un’ordinanza severissima, nonostante la situazione nella sua Regione non sia grave come in Lombardia: attività all’aperto quasi azzerate e supermercati chiusi la domenica. “Molti insistono per una chiusura totale come a Wuhan, spero che il governo si decida finalmente in questa direzione”, ha detto Zaia ieri mattina.



Nel pomeriggio è arrivata dalla Lombardia un’altra ordinanza restrittiva: chiusura degli uffici pubblici, sospensione di mercati e attività artigianali, chiusura degli studi professionali, stop ai cantieri edili. I contagi continuano a salire, i morti aumentano di giorno in giorno: significa che il virus circola in libertà. Attilio Fontana, governatore lombardo, ha preso la decisione dopo averla concordata con tutti i sindaci: un segno di unità e coinvolgimento. Giuseppe Sala e Giorgio Gori, primi cittadini di sinistra, dopo i tentennamenti iniziali ora sono schieratissimi a favore della blindatura delle città per arginare i contagi e impedire il crollo del sistema sanitario.



Fin dall’inizio dell’emergenza Zaia è sempre apparso il più deciso nell’affrontare l’epidemia. Il caso di Vo’ Euganeo è esemplare: immediata chiusura della zona rossa, tamponi a tappeto alla popolazione ripetuti dopo la fine della quarantena (coincisa con l’estensione della zona arancione all’intero Paese) per garantire la salute pubblica e anche favorire gli studi epidemiologici. In questo modo nel Padovano il virus è stato sostanzialmente bloccato e nel resto della regione, come dimostrano i numeri, non ha toccato i tragici picchi della Lombardia.

Qui invece si sono persi alcuni giorni decisivi pensando che fosse sufficiente chiudere una quindicina di piccoli Comuni della pianura: in realtà i focolai altrove, cioè nelle province di Bergamo e Brescia, si erano già accesi. Non è rimasto che seguire la linea Wuhan, quella della chiusura drastica, e trascinare il governo a fare altrettanto per mettere in sicurezza l’intero Paese. Tutto quello che gli enti locali potevano chiudere è stato chiuso. Per blindare anche le fabbriche occorreva un provvedimento da Roma, quello che è arrivato ieri sera. Conte ha parlato di “crisi più grave dalla seconda guerra mondiale”: oltre a portare morte, dolore e solitudine, il virus si abbatterà come un flagello su migliaia e migliaia di lavoratori che rischiano di perdere l’impiego, un pericolo più concreto di quello che ha impoverito schiere di persone dopo la crisi finanziaria del 2008.

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