Al termine del G7 dei ministri delle Finanze e dei Governatori delle Banche centrali che si è tenuto a Niigata, in Giappone, Ignazio Visco, Governatore della Banca d’Italia, ha evidenziato che «la tensione con la Cina porta ulteriore frammentazione e richiede uno sforzo diplomatico non indifferente. Dobbiamo mantenere aperto il dialogo e trattare insieme i problemi che ci colpiscono».
Considerando che il G7 rappresenta il nocciolo duro del fronte occidentale, è possibile che possa dialogare con il blocco in espansione dei Brics che risponde di fatto a Pechino? «La risposta non è semplice – ci dice Mario Deaglio, professore emerito di Economia internazionale all’Università di Torino -, anche perché se si guarda all’interno del fronte occidentale non può sfuggire un particolare non irrilevante».
A che cosa si riferisce?
Da un lato, gli Stati Uniti si stanno dotando di una politica industriale di nuovo tipo, soprattutto per i Democratici, che consiste nel produrre tutto in casa, riducendo la dipendenza da altri Paesi. Dall’altro lato, l’Europa sta facendo qualcosa di simile con la Cbam, la carbon tax sulle importazioni, così da cercare di mantenere produzioni industriali all’interno dei suoi confini. Si tratta di due strategie che finiranno per scontrarsi perché gli americani mirano alla supremazia. È vero che dal punto di vista militare sono chiaramente più forti degli europei, ma finanziariamente, tra tetto al debito e accordi che mettono in discussione il ruolo del dollaro come valuta globale, non sono messi benissimo. L’Europa cerca, quindi, di tenersi le mani libere.
Di fatto non c’è una posizione omogenea tra i Paesi del G7. E tra quest’ultimi ve ne sono alcuni, come Francia e Germania, che cercano accordi privilegiati con la Cina, senza dimenticare che l’Italia è l’unico tra i G7 ad aver siglato un memorandum sulla Via della Seta che non ha ancora deciso se rinnovare…
C’è una forte pressione europea perché non lo rinnovi, dato che si vuol perseguire una politica comune nei confronti di Pechino. In questo momento l’Italia ha due querelle aperte con l’Ue. La prima è la ratifica della riforma del Mes, che il Governo sembra intenzionato a sbloccare solo se verranno accolte delle richieste sulla riforma del Patto di stabilità che consentano anche di potenziare il Pnrr sul quale al momento ci sono criticità. La seconda è appunto relativa al memorandum sulla Via della Seta, visto che Bruxelles non vuole che ci sia questa corsia preferenziale con la Cina. Su quest’ultimo punto non tutti sono concordi nell’Ue, perché, come lei segnalava, ci sono Paesi, in primis la Germania, che vogliono mantenere un rapporto diretto con il gigante asiatico.
Queste due partite aperte tra Italia e Ue si potrebbero anche incrociare?
Penso di sì, è possibile che in qualche modo la trattativa diventi unica ed è altamente probabile che, essendo ancora l’unico Paese a doverla formalmente approvare, alla fine l’Italia procederà alla ratifica della riforma del Mes sfruttando un certo potere contrattuale per ottenere delle contropartite.
La Cina sta cercando di diventare sempre più indipendente e per alcune produzioni, pensiamo all’auto elettrica, sta riuscendo persino a diventare leader. Che spazio c’è per le imprese europee sul mercato cinese?
Va detto anzitutto che ci sono alcuni beni di consumo italiani, pensiamo al cibo o alla moda, che sono insostituibili per le classi agiate cinesi. Inoltre, l’industria europea resta importante per la componentistica di alcuni prodotti finali, tra cui la stessa auto elettrica. L’Europa è sempre meno all’avanguardia tecnologica, ma resta leader nella componentistica, dove riesce a realizzare innovazioni importanti. Il mercato cinese, quindi, ha ancora bisogno dell’Europa.
Fino a quando, alcuni Paesi europei, tra cui l’Italia, riusciranno a tenere un rapporto privilegiato sia con gli Stati Uniti che con la Cina?
Francamente non so dirlo. Penso, tuttavia, che nel momento in cui si chiuderà la partita ucraina, si aprirà quella euro-americana, perché gli Stati Uniti, come spiegavo prima, tenderanno alla supremazia e l’Europa questo non può accettarlo. Sarà interessante vedere che posizione terrà il Canada che, pur essendo confinante con gli Usa, ha un accordo commerciale con l’Ue, il Ceta.
Un confronto diretto tra Usa e Cina potrebbe essere determinato solo dalla scelta di Pechino di invadere Taiwan…
Non vedo gli Stati Uniti avere velleità aggressive da un punto di vista militare. Tuttavia, stanno creando un network, che comprende Australia, Giappone e Nuova Zelanda, non solo sul piano delle forze armate, ma anche economico, in modo da dipendere sempre meno dalle importazioni cinesi.
(Lorenzo Torrisi)
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