Dopo il governo giallo-verde e il governo giallo-rosso, l’Italia avrà un “Governo bianco”, non solo e non tanto come sintesi cromatica della variegata maggioranza “arlecchino” che lo sosterrà, quanto per la natura culturale a cui sembra ispirarsi ed aspirare.

Nella fase di massima e sanguinosa contrapposizione tra destra e sinistra, il dopoguerra, la cultura democratico-cristiana seppe rappresentare un punto d’incontro. Quel cambio di paradigma su cui fu fondato il nuovo patto nazionale e sociale divenuto, poi, patto costituzionale.



La “Costituzione più bella del mondo” e il boom nacquero da lì: da una visione inclusiva che contemplava la composizione (e non la contrapposizione) dei legittimi interessi di parte.

È in quella cultura di collaborazione, responsabilizzazione e azione di tutte le forze politiche e sociali (in questo modello di sviluppo includente e non escludente) che si rafforza, fino a divenire il motore della rinascita economica del Bel Paese, la classe media: il cosiddetto ceto medio successivamente falcidiato, negli anni 2000, dalla contrapposizione dei populismi di destra e di sinistra.



L’Italia, come nel ’48, ha bisogno di un ritrovato clima includente e, con esso, di un nuovo triplice patto: nazionale, sociale e costituzionale. Non c’è solo il problema di riaccendere i motori dell’economia grazie alla montagna di denaro promessa da Bruxelles, ma, prima di tutto, c’è da ricostruire, rigenerare, rifondare un’impalcatura istituzionale, una macchina amministrativa e un nuovo patto sociale. Urgenze che la pandemia ha prepotentemente posto al centro dell’agenda politica.

Siamo a un punto di svolta: all’Italia serve un cambio di pelle. E l’autorevolezza trasversalmente riconosciuta al presidente Mario Draghi appare il vero vaccino utile (se non indispensabile) a un Paese sfinito, sgomento, annichilito e, totalmente, sfrangiato: destra contro sinistra, Regioni contro il governo centrale, procure contro magistrati.



Il primo governo Draghi (probabilmente ne serviranno altri dopo il 2023) non è -quindi – un accidente della democrazia, né la sconfitta della politica e neppure, come si è paventato, la prova provata della surrettizia trasformazione della Repubblica parlamentare in una Repubblica presidenziale.

Tutt’altro, il Governo Draghi appare piuttosto una necessità oltre che un’opportunità. E, contro ogni faziosità, la paziente opera di mediazione politica di cui Draghi si è già mostrato acuto interprete potrà rappresentare il vero e prezioso Next Generation Eu culturale da lasciare in eredità alle generazioni future.

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