Se la situazione epidemiologica legata al coronavirus dovesse ulteriormente peggiorare, ci sarà il rischio che medici e infermiera scelgano a chi dare priorità nelle cure. In Svizzera è stato redatto un documento a riguardo (gli ultimi ad essere curati saranno gli over 85), e qualcosa di simile è accaduto anche in Italia, come riferiscono i colleghi di TgCom24.it. E così che i camici bianchi italiani e gli anestesisti hanno preso atto, attraverso un documento apposito redatto insieme, che in caso di gravissimi crisi sanitaria, si darà la precedenza in terapia intensiva “a chi potrà ottenere grazie ad essa un concreto, accettabile e duraturo beneficio”. Nel documento si legge che a breve potrebbe verificarsi uno scenario molto simile a quello di marzo, quando gli ospedali italiani erano al collasso, e si è resa necessaria la costruzione di altre strutture e di ospedali da campo. Verranno quindi privilegiate quelle persone che avranno più possibilità di salvarsi, indipendentemente dall’età del paziente. Peserà inoltre “la gravità del quadro clinico, lo stato funzionale pregresso – si legge nel documento pubblicato da TgCom24.it sottoscritto dalla Federazione nazionale dei medici (Fnomceo) e dalla Società italiana di anestesia (Siaarti) – l’impatto sulla persona dei potenziali effetti collaterali delle cure intensive, la conoscenza di espressioni di volontà precedenti”.
“PRECEDENZA A CHI HA PIÙ POSSIBILITÀ, MA TUTTI DOVRANNO ESSERE CURATI”
Attenzione però, ciò non significa che tutti gli altri pazienti non verranno curati e abbandonati a se stessi “dovendo il medico sempre provvedere – si legge sempre nel protocollo – a porre in atto le valutazioni e l’assistenza necessaria affinché l’eventuale progressione della patologia risulti il meno dolorosa possibile e soprattutto sia salvaguardata la dignità della persona”. Roberto Monaco, segretario della Fnomceo, denuncia gravi carenze organizzative, indipendentemente dall’emergenza o meno: “Quello che vorrei fosse chiaro – dice – è che noi medici ci siamo fatti carico di problemi che sono in realtà legati a un contesto organizzativo. Non abbiamo paura, perché siamo abituati a lavorare in emergenza. Abbiamo paura di tutte quelle falle nell’organizzazione e nella programmazione che possono esplodere in una situazione di crisi. Dobbiamo fare di tutto perché non siamo costretti a queste scelte”.