Nel 2023 l’Italia dovrà evitare possibili trappole dall’Ue e dalla Bce in una situazione dove è in atto la transizione tra un clima fiscale e monetario espansivo a uno violentemente restrittivo in cui Roma avrà un massimo di vulnerabilità per la sua ricattabilità sul debito. In particolare, bisogna considerare che la Francia sarà molto ostile al Governo italiano perché non solo si sta sfilando parzialmente dai programmi di difesa europea francocentrica, come sta facendo la Germania, ma sta entrando, diversamente dalla Germania stessa ancora indecisa se mantenere la relazione con Parigi o degradarla, in alcuni ambiti di superiorità tecnologica globale con il benestare degli Stati Uniti ed esclusione della Francia: il programma anglo-italiano-nipponico per una piattaforma aerea globale fantascientifica di sesta generazione, progetti chiave per lo spazio, ecc.
Per inciso, non si pensi che la frizione tra Roma e Parigi sia nata per la questione degli immigrati, questa solo una scusa: è nata perché con l’Italia in questa (ottima) postura e la Germania meno franco-convergente, l’idea di una “sovranità europea” basata sull’industria militare francese non sarà perseguibile. Infatti, Macron si è fiondato a Washington per cercare con l’America un bilaterale privilegiato in materia di politiche spaziali militari: è stato trattato con gentilezza, certamente è interesse statunitense mantenere buone relazioni con Parigi, ma la Francia resterà fuori dalla serie A. Parigi, disperata, ha pertanto bisogno di far cambiare rotta all’Italia per tentare un 2 a 1 con la Germania o con le buone (pressione sul Quirinale affinché contrasti il Governo) o con le cattive.
Le “cattive “sono esercitabili scatenando l’Ue e la Bce dove Parigi ha ancora peso contro l’Italia. Pertanto Roma ha il problema di evitare trappole. Da un lato, il Governo ne è consapevole e ha preso una linea conforme con le regole europee. Ma non basta essere candidi come colombe, dovrà anche essere astuto come un serpente.
La prima trappola da evitare è quella della non ratifica del Mes (nelle cui casse peraltro Roma ha già versato 14 miliardi) mentre tutte le altre nazioni hanno approvato: il Mes è un meccanismo di interventi d’emergenza finanziaria che è stato modificato per ridurne la condizionalità formale, ma non quella sostanziale, che però è diventato un doppione inutile della funzione di prestatore di ultima istanza evoluta da parte della Bce. Tuttavia, non è obbligatorio il ricorso al Mes in caso di crisi. Se l’Italia vi andasse (difficile che succeda) il suo rischio di insolvenza del debito destabilizzerebbe l’euro costringendo la Bce a intervenire. Ma un Mes con la potenza di fuoco (a leva) da meno di mille miliardi di euro non basterebbe a rassicurare il mercato internazionale. In sintesi, Roma avrebbe tutte le buone ragioni per non ratificare questo trattato intergovernativo dell’Eurozona che definisce il nuovo Mes: è roba superata e insufficiente. Ma se non lo farà scoprirà il fianco a offensive francesi, in questa materia sostenute dalla Germania, e si troverà in posizione sfavorevole nel negoziato sulla modifica del Patto di stabilità nel 2023, sul Pnrr, ecc.
Per tale motivo di strategia generale si raccomanda al Governo di proporre al Parlamento la ratifica del Mes, ma non corredandola di una clausola che impedirà il ricorso dell’Italia al Mes (sarebbe comunque una divergenza formale pericolosa), bensì vincolando l’eventuale accesso al Mes a un’approvazione selettiva del Parlamento italiano, non criticabile. Per intanto evitiamo questa trappola e prepariamoci a schivare le prossime.
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