L’Italia appoggia le sanzioni contro la Russia, compreso l’eventuale blocco del sistema Swift: Mario Draghi lo ha annunciato al presidente ucraino Zelenskyy chiarendo equivoci e incomprensioni dei giorni precedenti, che, per la verità, avevano riacceso dubbi e sospetti su una linea troppo soffice influenzata dall’ampio “partito putiniano”. A questo punto sembra chiaro che Roma seguirà le decisioni prese dall’Unione Europea, anche quelle che costeranno care all’economia nazionale. Draghi, insomma, è costretto a indossare una nuova veste: la giubba del comandante in capo, dopo la grisaglia del tecnico chiamato ad affrontare l’emergenza Covid e il Pnrr, e la zimarra del politico nella partita per il Quirinale finita con un pari e patta. Il Governo dovrà mettere mano a un piano straordinario che tocchi gangli vitali del Paese: l’energia, gli approvvigionamenti di materie prime (si pensi al grano), la finanza, nuovi impegni militari sia con mezzi (aerei, navi), sia con uomini per rafforzare la Nato. Ce n’è da far tremare le vene ai polsi, mentre la pandemia si sta spegnendo, ma non è ancora scomparsa, l’inflazione frena una ripresa che sembrava eccezionale, e il Pnrr è da “mettere a terra” con riforme importanti come quella fiscale tutte da varare. 



Non basterà spiegare le vele al vento di Bruxelles e di Francoforte, anche se l’Ue e la Bce saranno fondamentali. Si pensi al ritorno del Patto di stabilità e dei parametri fiscali (debito e deficit) o alla politica della Banca centrale europea. Mentre sta valutando quando, come e di quanto ridurre l’alluvione di denaro liquido, Christine Lagarde deve tener conto che i costi delle sanzioni ricadranno anche sui Paesi dell’euro, soprattutto su quelli più esposti verso la Russia, e bisognerà consentire agli Stati di indebitarsi per compensare le perdite e impedire che ricadano sulle famiglie e sulle imprese. L’Europa dovrà accendere il semaforo verde, ma sarà l’Italia a dover decidere la strada da prendere.



Il blocco del sistema Swift è senza dubbio l’arma più potente per mettere in seria difficoltà Putin e i suoi oligarchi. La Russia ha fame di dollari e i suoi giganti economici sono molto indebitati, a cominciare da quelli petroliferi. Rosneft, guidata dall’ex agente del Kgb Igor Sechin, fedelissimo boiaro del nuovo zar, già nel 2014, dopo le sanzioni comminate in seguito all’annessione della Crimea, ha dovuto chiedere aiuto direttamente allo Stato: 42 miliardi di dollari, per coprire un indebitamento di 55 miliardi, vennero versati prendendoli dai fondi per le pensioni. Gazprom, guidato da Alexei Miller, un altro fedelissimo, ha fatto ampio ricorso fino all’ultimo al mercato internazionale, oggi ha debiti superiori agli 11 miliardi di dollari. Poi ci sono le banche attraverso le quali passa l’intero sistema di pagamenti: trovare un’alternativa è possibile, ma ci vorrà tempo e in ogni caso nessun Paese, nemmeno la Cina, potrà compensare il mercato finanziario occidentale (e c’è da dubitare che Pechino lo voglia fare). 



L’Italia è molto dipendente perché dalla Russia viene la quota maggiore di gas consumato, molto meno per quel che riguarda le esportazioni. Su un export totale pari a 521 miliardi di dollari l’anno scorso (nono Paese al mondo con una quota del 2,9%) in Russia sono andate merci e servizi per appena 7 miliardi. Per quel che riguarda l’import abbiamo speso 12,6 miliardi soprattutto per gas e in misura minore materie prime. Non sono noccioline, sia chiaro. Il blocco di Swift se comprendesse anche l’energia (e sarebbe l’unico modo per renderlo davvero efficace) avrebbe conseguenze molto serie, che sono gestibili, ma bisogna mettere a punto un piano molto efficace e bisogna farlo subito.

Non solo. È chiaro che ci saranno sacrifici per tutti, va detto chiaramente decidendo con il più ampio consenso possibile come ripartirli in modo equo ed efficace. Sarebbe utile (anzi necessario) che il comandante in capo rivolgesse un discorso al Paese fin dai prossimi giorni, non un appello churchilliano “lacrime e sangue”, ma un’analisi fredda e puntuale nello stile di Draghi chiamando tutti al massimo spirito di collaborazione. I partiti della maggioranza, compresa la Lega salviniana, e persino l’opposizione di destra, hanno dato segnali positivi; è il momento di coglierli invitando tutti al tavolo della nuova emergenza, prima che ricomincino giostre elettorali.

In una cornice politica consensuale sarà più facile compiere le scelte concrete per le quali non bisogna perdere tempo. Per esempio chiamare Eni, Enel, Snam, Terna, ma anche Edison, Acea, A2A insomma tutti i gruppi energetici e chiedere a loro un programma per diversificare al massimo le fonti diverse dal gas russo. La proposta di riaccendere pro tempore le centrali a carbone è una mossa pragmatica, ma è chiaro che bisognerà pensare ai prossimi mesi e ai prossimi anni. Draghi dovrebbe rivolgersi anche alle grandi banche e alle assicurazioni, alcune di loro, come Unicredit e Generali, molto presenti nell’Europa centrale. Naturalmente andrebbero coinvolti la Confindustria e i sindacati: mai come in questo momento c’è bisogno di un approccio da patto sociale. 

È importante capire i bisogni di tutti, ma anche selezionare le priorità. I lamenti degli stabilimenti balneari di Rimini o delle discoteche tradizionalmente amate dai ballerini russi, per quanto comprensibili, passano ovviamente in secondo piano.

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