Aiuti all’Ucraina e nessun cedimento nei confronti di Mosca. Sembra questo il sottotesto dell’incontro di ieri a Roma tra il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg e il presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Stoltenberg è venuto a elogiare il ruolo dell’Italia “alleato chiave” e a ringraziare il Governo per il sostegno all’Ucraina, “compresa la fornitura di un sistema di difesa aerea Samp-T insieme alla Francia”. Ovviamente non si può escludere che il colloquio abbia affrontato contenuti rimasti riservati. Stoltenberg ha anche affermato che “gli ucraini non hanno chiesto truppe NATO in Ucraina”.
Secondo Pasquale De Sena, ordinario di diritto internazionale nell’Università di Palermo e presidente della Società italiana di diritto internazionale, continuiamo a navigare nelle acque ambigue di una guerra non dichiarata, nella quale il Parlamento viene scavalcato. L’esatto contrario di quello che si dovrebbe fare.
Per quanto riguarda l’impegno diretto della NATO, se anche l’Ucraina dovesse chiedere truppe – e quel momento potrebbe non essere lontano – non è per nulla automatico, spiega il giurista, che la NATO proceda a fornirle.
L’Italia va verso il decreto n. 9 di fornitura di armi al Kiev. Che cosa osserva, da giurista, in proposito?
Le osservazioni sono sempre le stesse. Sul tipo di armi la pubblicità – seppure impropria – c’è stata, tant’è che si sa di cosa si tratta. Ma il Parlamento? Una discussione parlamentare seguita da un voto è tanto più necessaria, se si tiene conto che non c’è solo il supporto militare alla difesa dell’Ucraina; ad esso si aggiunge sempre più e non da oggi, in aggiunta alla funzione difensiva, il carattere “dissuasivo” nei confronti della Russia dei nuovi mezzi forniti a Kiev.
Dunque non ritiene che lo “stato di eccezione” rappresentato dal conflitto possa giustificare la decisione di non consultare il Parlamento?
No, perché non siamo in guerra. O meglio, e qui si vede tutta l’ambiguità della situazione, siamo impegnati di fatto in una guerra non dichiarata. Ed è per questo che non possiamo prescindere dal passaggio parlamentare. Agiamo per legittima difesa o per indebolire la Russia? Questo secondo caso non sarebbe lecito né per il diritto internazionale, né per il diritto costituzionale.
Il nostro Governo ha escluso a più riprese l’invio di uomini in Ucraina. “Possiamo effettuare un intervento armato solo su mandato internazionale, ad esempio, in applicazione di una risoluzione delle Nazioni Unite” ha dichiarato di recente il ministro Crosetto. Come commenta?
Mi pare che in questa dichiarazione si annidi un errore, dal momento che sul piano giuridico internazionale nulla vieta anche l’impegno militare diretto, se si interviene a titolo di legittima difesa collettiva, come sta avvenendo. Credo insomma che il ministro della Difesa richiami il diritto internazionale per giustificare una posizione che, in realtà, è politica.
Eppure, ha ripetuto Stoltenberg all’Ansa, “la NATO non ha intenzione di schierare forze in Ucraina. Quando ho visitato l’Ucraina la scorsa settimana gli ucraini non hanno chiesto truppe NATO in Ucraina, quello che hanno chiesto è più supporto”. Non ravvisa un’ambiguità di fondo?
Il fatto che l’Ucraina non richieda, per ora, l’invio di truppe, non esclude che ciò possa succedere più avanti. Ma se dovesse farlo, non è per nulla automatico che la NATO proceda a fornirle.
Per quale motivo?
Per due ragioni. La prima è che l’invio di truppe richiederebbe, anche nell’ipotesi dell’art. 5, una delibera del Consiglio atlantico, com’è avvenuto nel caso dell’Afghanistan.
La seconda ragione che esclude l’invio automatico di truppe?
Si può presumere che molti Paesi – per esempio, Turchia e Ungheria – vi si opporrebbero, trattandosi di un’operazione pericolosissima e non riguardante un Paese membro della NATO.
Stoltenberg ha ribadito qualcosa che avevamo rimosso dalla nostra attenzione, e cioè che “l’Italia ha firmato un accordo bilaterale di sicurezza con l’Ucraina, contribuendo a migliorare le difese del Paese, a sostenere l’industria degli armamenti e a contrastare le minacce ibride”. Quanto è obbligante oggi un accordo di quel tipo?
A mio avviso, le intese bilaterali con l’Ucraina, fra le quali c’è anche quella italiana, sono state concluse proprio allo scopo di “compensare” le incertezze riguardanti l’impegno NATO, di cui ho appena detto. Per il resto, al di là delle parole di Stoltenberg, rilevo che nel testo dell’intesa fra Italia e Ucraina vengono costantemente richiamati i limiti derivanti dalla Costituzione. A ciò si aggiunge un’ulteriore circostanza, che è fattuale: come si potrebbero davvero onorare quegli impegni di cooperazione, date le attuali condizioni dell’apparato difensivo italiano?
Da quando sono emerse le gravi difficoltà delle forze ucraine e Macron ha ipotizzato l’invio di truppe, abbiamo assistito a un deterioramento delle relazioni già conflittuali tra NATO e Russia. A suo avviso questo cosa sta a significare?
Secondo me è una conseguenza naturale della strategia fin qui seguita dall’Occidente e della resistenza dei russi a una ritirata dai territori occupati. Una resistenza largamente prevedibile, malgrado i continui appelli occidentali – appelli poco credibili e poco utili, direi – a una ritirata unilaterale. Non so se questo contrasto sia destinato ad attenuarsi con un’eventuale presidenza Trump, perché dubito che quest’ultimo sarebbe in grado di risolvere rapidamente la crisi.
Per quale ragione?
Perché ritengo difficile che la Russia si accontenti dei soli territori occupati, senza pretendere una qualche forma di smilitarizzazione dell’Ucraina. La cui concessione segnerebbe una sconfitta politica probabilmente inaccettabile per l’alleanza occidentale.
Smilitarizzazione vorrebbe dire anche cambio di regime politico?
No, non necessariamente, e sicuramente non in questo caso, a mio avviso. Ma anche una semplice neutralizzazione dell’Ucraina, come potrebbe essere digerita a Ovest, e in Ucraina, dopo anni di guerra? Insomma, rischiamo che la guerra si allunghi ancora, con tutti i pericoli che si possono immaginare.
(Federico Ferraù)
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