Il ministro dello Sviluppo economico Giorgetti ieri, a valle di un incontro con il ministro francese dell’Economia Le Maire, ha dichiarato che “la nostra industria non può essere oggetto di politiche predatorie rispetto alla tecnologia di cui disponiamo”. Il giorno precedente era stato il ministro dell’Innovazione tecnologica Colao a incontrare il ministro francese per discutere della cooperazione nel campo dell’innovazione. I due incontri avvengono dopo l’insediamento del nuovo Governo che sembra avere aperto una nuova stagione di riavvicinamento nei rapporti tra Italia e Francia; il Paese transalpino negli ultimi mesi ha, a sua volta, segnalato diversi fronti di frizione con la Germania e un riavvicinamento con gli Stati Uniti, come dimostrano anche alcune esercitazioni sia nel Mediterraneo che nel Pacifico.
Non c’è ovviamente nessuna pregiudiziale nei confronti di una maggiore collaborazione con la Francia. L’Italia politicamente è isolata avendo ondeggiato pericolosamente negli ultimi due anni con la firma dell’accordo “commerciale” con la Cina e la spedizione “medica” russa della primavera scorsa. Su diversi dossier internazionali il nostro Paese ha dato prova di impotenza a partire dalla Libia, dove probabilmente le speranze americane sull’Italia sono state disattese, fino ai rapporti con un partner importante come l’Egitto. È utile e buono che l’Italia possa uscire dall’isolamento in cui si trova. ma rimane una questione. La Francia è un nostro competitor sia per alcune industrie strategiche, energetiche e di difesa, sia in termini di “proiezione” sul Mediterraneo. La guerra in Libia del 2011 in questo senso rimane una prova incontestabile perché l’intervento è stato anche in chiave anti-italiana.
Da un punto di vista economico e finanziario quello che si è osservato negli ultimi 20 anni è un rapporto a senso unico in cui aziende francesi hanno comprato aziende italiane importanti in tutti i settori: dall’energia alla moda, dalla finanza al risparmio gestito, dall’industria automobilistica fino all’estrazione di sale. L’unico tentativo italiano, Fincantieri, è fallito miseramente dopo una pantomima durata anni in cui è apparso chiaro che i francesi non avevano alcuna intenzione di onorare un accordo mai pubblico, sull’asse Renzi-Hollande, su cui i mercati avevano largamente “speculato” per tutto il 2016. L’ultimo tassello, la fusione Fca-Psa, ha spostato il cuore europeo del gruppo a Parigi.
I problemi che si pongono oggi sono diversi. La pandemia non ha causato danni economici in egual misura nei Paesi europei. L’Italia e la Spagna sono state colpite molto più duramente rispetto alla Francia e poi ai Paesi del nord Europa. L’economia italiana è più fragile, nei confronti di quella francese, rispetto a febbraio 2020. Le sbandate geopolitiche italiane hanno causato sospetti negli alleati storici e comunque l’Italia non è stata in grado di difendere le nuove possibili scelte. Questo significa che qualsiasi evoluzione in senso negativo della situazione attuale rischierebbe di spianare praterie per le aziende estere sul sistema industriale e finanziario italiano.
La difesa italiana è arretrata e oggi è appena fuori da una “area di rigore” fatta di aziende profondamente strategiche, anche partecipate dallo Stato, la cui perdita farebbe venir meno l’ultima opportunità di sovranità reale: energia, difesa, banche e assicurazioni. La prima difesa italiana sarebbe riaprire l’economia. Tutti gli altri strumenti, per quanto utili, rischiano alla fine di essere spuntati se ci si siede al tavolo con il Paese colpito da due anni di recessione.
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