La strada indicata dal Piano Mattei è quella degli accordi economici con la Libia, anche se adesso il governo di Tripoli di fatto controlla una piccola parte del Paese. Ma sono intese che, come hanno fatto Turchia e Russia, è sempre meglio firmare: anche a un eventuale nuovo esecutivo, che raccolga l’eredità di quello attuale di Dbeibah, potrebbe far comodo avere un Paese come l’Italia come partner. Per questo il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, ha messo nero su bianco con il governo libico, riconosciuto internazionalmente ma che gestisce una parte della Tripolitania, una dichiarazione che riguarda energia e materie prime. Roma, osserva Michela Mercuridocente di cultura, storia e società dei Paesi musulmani nell’Università di Padova, è considerata dagli USA un alleato di ferro nella NATO, e in questa veste potrebbe ricevere una sorta di delega a realizzare in Libia la politica antirussa che gli americani faticano a seguire in prima persona a causa dei conflitti in Ucraina e Palestina. In questo scenario l’Italia dovrà fare i conti con gli interessi russi, soprattutto nella Cirenaica di Haftar. Per Italia e Russia la Libia è diventata una poltrona per due, scomoda, ma comunque foriera di affari. Bisogna saper conciliare la politica NATO e gli interessi delle aziende italiane, ENI in primis.



Energia, materie prime, tecnologia green: l’Italia ha firmato una dichiarazione congiunta con la Libia per investimenti e cooperazione. Che valore ha, tenendo conto della sovranità limitata del governo di Tripoli, cui sfugge il controllo di gran parte del territorio?

Il governo di Tripoli ha uno scarso controllo del territorio, ma al contempo Dbeibah ha firmato accordi simili con altri attori, come quello delle zone economiche esclusive (ZEE) con la Turchia. Credo che qualunque leadership ci sarà a Tripoli in futuro, avrà tutto il vantaggio a mantenere queste intese: giovano anche alla ripresa della Libia e sono un importante oggetto di campagna elettorale. Le cento e più imprese alla fiera internazionale di Tripoli, guidate dal ministro del Made in Italy Adolfo Urso, hanno grandi opportunità sia nell’Est, con la ricostruzione di Derna, sia nell’Ovest del Paese. Ma è meglio agire con cautela e attendere come si svilupperà il quadro interno libico.



Nei giorni scorsi nella zona di Al Zawiya sono stati segnalati violenti scontri tra gruppi armati che hanno portato, purtroppo, anche a dei morti: le milizie la fanno ancora da padrone?

Stiamo parlando di proteste molto particolari. Alcuni dicono di aver visto tra le milizie di Al Zawiya persone di colore assoldate da questi gruppi militari. E si sono sollevati anche gli studenti universitari. La popolazione civile ha protestato contro la debolezza delle istituzioni, contro la legittimità del ministero dell’Interno e degli organi preposti. C’è una forte insoddisfazione popolare nei confronti di alcuni esponenti del governo di Tripoli che potrebbe essere fomentata dall’Est libico.



Negli ultimi mesi era stato avviato un iter che avrebbe dovuto portare all’unificazione del Paese creando un governo unitario che gestisse la preparazione alle elezioni. Che fine ha fatto questo tentativo, si è già arenato?

Da un lato c’è quello che si potrebbe fare e dall’altro quello che conviene. Ci sono stati spesso incontri fra i rappresentanti dell’Est e dell’Ovest del Paese per creare un governo unitario, capace di traghettare verso le elezioni. La realtà, però, è che né Dbeibah né Haftar vogliono perdere il potere che hanno acquisito. Dbeibah continua ad avere problemi con la Banca centrale reclamando una non equa redistribuzione dei proventi del petrolio, Haftar sostiene la tesi contraria. Una spaccatura che serve a entrambi per mantenere il potere, soprattutto tenendo conto del fatto che ci sono potenze straniere che hanno tutta la convenienza a una Libia divisa, per fare affari con i singoli attori con cui hanno accordi da anni. Se cambiassero le persone che contano nel Paese, gli stranieri dovrebbero ricreare quella rete di contatti che finora ha permesso loro di realizzare i propri business.

La Russia sta rafforzando le sue posizioni in Libia e si parla di una possibile presenza anche in Tunisia. Quanto pesa l’influenza russa e quanto le forze straniere possono ostacolare il processo di riunificazione?

Ci siamo svegliati negli ultimi mesi da un sonno che è durato parecchi anni. Ci siamo dimenticati che i golpe in Mali, in Burkina Faso e anche in Niger sono stati realizzati grazie anche all’intervento della Russia, che ora ha creato l’Africa Corps per agire lì. I russi supportano Haftar dal 2017: qualunque accordo noi faremo con la Libia dovrà tenerne conto. Aerei militari russi sono atterrati a Djerba, quindi sono arrivati anche in Tunisia. E la Russia vende armi e grano all’Algeria, il più importante fornitore di gas dell’Italia. La presenza russa è un ostacolo per il Piano Mattei, ma anche all’unificazione della Libia, perché Mosca ha interesse a sostenere Haftar, che garantisce loro la base di Al Jufra e potrebbe consentire la realizzazione di una base navale russa.

L’attivismo russo ha fatto tornare l’attenzione degli americani sulla Libia: l’Occidente è fuori tempo massimo? In questo contesto gli interessi italiani, quelli economici e quelli relativi al controllo del flusso dei migranti, rischiano di non essere tutelati?

L’attenzione USA sull’Africa in chiave eminentemente antirussa è evidente. Ma gli americani sono impegnati nella campagna elettorale e nelle polemiche interne relative alla guerra in Medio Oriente e in Ucraina, tanto che Biden rischia la poltrona. C’è la possibilità che possa delegare la questione africana all’Europa, in particolare all’Italia, l’attore più vicino e più interessato, anche per una questione di flussi migratori. Se l’Italia in Africa adottasse una politica totalmente antirussa, però, rischierebbe in termini di flussi migratori. I russi in passato ne hanno già agevolato l’aumento dalla Cirenaica. E potrebbe avere qualche bastone tra le ruote in più anche per quanto riguarda gli affari: l’ENI è abbastanza tutelata, nell’Ovest ha investito 8 miliardi per rinnovare i gasdotti e in altri progetti sulle rinnovabili e mi auguro che, grazie all’incontro Meloni-Haftar, riesca ad ampliare il suo spazio nell’Est. Molto meno tutelate sarebbero, invece, quelle imprese che vorrebbero affacciarsi al mercato libico.

Il Paese è al centro delle rotte dei migranti, con organizzazioni criminali particolarmente violente nei loro confronti. Il coordinamento che l’Italia ha creato con Libia, Tunisia e Algeria può aiutare a controllare la situazione? Oppure anche qui la debolezza delle autorità libiche non permette di esercitare un vero controllo sui trafficanti di uomini?

Gli sbarchi dal Nordafrica sono notevolmente diminuiti dallo scorso anno. L’accordo con la Tunisia ha funzionato e ora i migranti algerini si dirigono prevalentemente verso la Spagna. Credo che un accordo con la Libia potrebbe funzionare, soprattutto con il coinvolgimento dell’Est. Non dobbiamo pensare che le proposte italiane di investimenti, ricostruzione, energie rinnovabili siano indifferenti a Haftar: è un affarista e adesso ha la possibilità di fare affari in due direzioni, con la Russia e con l’Italia. Pensare che la Russia se ne vada dalla Libia al momento è totalmente impensabile. Quindi vedo una scomodissima poltrona per due da occupare, se l’Italia saprà gestire bene la sua posizione sia nell’Est che nell’Ovest.

(Paolo Rossetti)

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