Una delicata missione in Libia per Luigi Di Maio che ieri ha visto prima Serraj e poi Haftar. “La soluzione non può essere militare”, ha detto il capo della Farnesina. I due leader invece hanno ufficialmente taciuto. Ne abbiamo parlato con Paolo Quercia, direttore del Cenass ed esperto di politica estera. In Libia la presa di Tripoli da parte di Haftar non c’è ancora stata e questo è un fatto che legittima un punto di vista diverso sull’intera vicenda. “Siamo di fronte ad un gioco delle parti tra Russia e Turchia – spiega Quercia -, un patto che comincia nel Mar Nero”. Ankara e Mosca sarebbero pronte ad attuare in Libia una pax siriana.



Cominciamo da Di Maio.

La visita del ministro degli Esteri italiano in Libia è certamente un fatto positivo. Così come l’annuncio della nomina di un inviato speciale per la Libia e l’invito ad Haftar a venire in Italia. Speriamo non sia troppo tardi. Di tempo se ne è davvero perso troppo. A parte questo, non sottovaluterei le logiche del conflitto.



Che cosa intende?

È vero che la soluzione di un conflitto è una questione politica, ma anche la guerra è una questione politica. 

Ma quella dell’Italia può essere una posizione rilevante a questo punto del conflitto? 

È piuttosto difficile, anche se non impossibile. A patto che venga fuori, nelle prossime settimane, una posizione coerente sui principali dossier della crisi. Che non può essere quella di rimbalzare la palla all’Unione Europea.

Dove andrebbe cercata la soluzione secondo lei?

O viene fuori una posizione nazionale e un’idea italiana per la Libia e vengono assegnati i mezzi all’esecutivo per raggiungerla, o meglio mettersi a rimorchio di Ankara e Mosca. Ma questa è una via pericolosa, in quanto ne diverremmo ostaggio. 



Domenica scorsa c’è stato un secondo incontro tra Serraj e Erdogan dopo quello del 27 novembre. Il presidente turco ha fatto sapere di voler proteggere “i diritti della Libia e della Turchia nel Mediterraneo orientale”. Ci si aspettava una presa di Tripoli da parte di Haftar. Quali sviluppi vedremo?

Lo scopriremo nelle prossime settimane. Io azzardo e dico che siamo di fronte ad un gioco delle parti tra Russia e Turchia. Posso sbagliare, ma ho la sensazione che tra Mosca ed Ankara esiste quantomeno una complicità geopolitica sul da farsi, se non una vera e propria intesa. E non solo in Libia.

Che quadro emerge se mettiamo insieme quest’ultimo incontro Serraj-Erdogan con l’accordo sulle Zee nel Mediterraneo orientale?

Anche l’accordo sulla Zona economica esclusiva lo leggo come un passaggio che Ankara ha voluto fare in previsione di novità importanti nel quadro politico libico, in cui non è detto che Serraj rimarrà in sella a lungo. Meglio incassare l’accordo in cambio del sostegno di cui Sarraj ha necessità ora.

Eppure Haftar, attraverso l’Egitto, riceve sostegno dalla Russia. Nonostante questo, lei esclude che Erdogan e Putin siano in competizione e che i loro interessi possano scontrarsi in Libia.

Sarebbero in competizione, se non fosse per gli errori inanellati dagli americani e dagli europei negli ultimi anni, dalla guerra in Iraq fino alle primavere arabe. L’insussistenza della politica estera europea ed il disimpegno americano dal Medio oriente hanno fatto il resto. Il gioco è apparentemente complesso ma in realtà semplice, in Siria così come in Libia, e come nei Balcani.

E dove starebbe questa semplicità?

Ognuno supporta in vario modo uno dei contendenti di quelli che sono destinati a restare dei frozen conflict (conflitti congelati, ndr). Appena i frozen conflict si stabilizzano, Ankara e Mosca divengono i guardiani e i peacekeepers di quel teatro. Ognuno incassa i suoi dividendi della pace e resta mutualmente dipendente dall’altro per la sua sicurezza.

Assomiglia molto ad una storia già vista.

È in piccolo la stessa logica della guerra fredda tra Usa e Urss, dove non eri sicuro se le due potenze si stavano combattendo o si stavano spartendo il mondo.

E quale sarebbe il teatro di questa nuova guerra fredda?

Il Mediterraneo orientale, segnato da un triangolo geopolitico che ha i tre vertici nel Mar Nero (Crimea), nel Mediterraneo orientale (Siria), e nel Mediterraneo centrale (Libia). In questo teatro però non abbiamo una guerra fredda ma una competizione-collaborazione-spartizione, con la differenza che tra Russia e Turchia la win-win situation è resa possibile, almeno per il momento, dall’estromissione dell’Occidente.

D’accordo ad inserire la Siria nel contesto della grande crisi geopolitica che ha investito il Mediterraneo orientale. Ma perché chiamare in causa l’Ucraina?

Perché il Mar Nero fa parte del Mediterraneo, ed è legato al Mediterraneo orientale; perché la militarizzazione della Crimea ha modificato gli assetti strategici anche del Mediterraneo orientale; e perché Turchia e Russia sono unite dalla convenzione di Montreaux con cui mantengono fuori dal Mar Nero le altre flotte militari. Insomma i russi possono uscire dal Mar Nero verso il Mediterraneo, ma altre flotte militari hanno molti limiti ad entrare dal Mediterraneo nel Mar Nero. E perché la Turchia, dopo la crisi ucraina, ha modificato la sua politica verso il Caucaso ed il Mar Nero in senso favorevole alla Russia.

Dunque parliamo di una divisione di sfere di influenza molto più ad ampio raggio di quanto sembra a prima vista. Ricominciamo dalla Siria.

In quel conflitto russi e turchi sono partiti come nemici ma ora fanno pattugliamenti congiunti e di fatto collaborano. In questo modo ciascuno tiene a bada i nemici dell altro, riducendo per entrambi l’impegno militare ed il rischio di un’escalation che sarebbe un problema. Così ognuno protegge l’altro da un rischio Afganistan. Ed entrambi fanno una guerra a basso costo.

L’ha definito un conflitto congelato. È per questo che la situazione in Siria appare come la vediamo, con Assad che ha avuto ragione dell’Isis ma che al tempo stesso non è completamente padrone del suo paese?

È un frozen conflict perché né Assad né i suoi nemici riescono a vincere da soli. Il ruolo degli attori esterni era talmente elevato che alla fine hanno finito per mettersi direttamente d accordo, andando verso il congelamento del conflitto. Assad ha vinto, ma il prezzo della vittoria è che il paese lo controllano russi e turchi.

Libia, Siria e Crimea sono dunque i vertici di uno stesso schema geopolitico?

Le azioni e le strategie di Russia e Turchia in assenza di segnali di vita da parte dell’Europa stanno profondamente ridisegnando il Mediterraneo. E questo triangolo geopolitico potrebbe emergere. Mentre agli Usa, in questa fase, potrebbe andare anche bene così. Trovo invece strano il ruolo defilato di Israele e Arabia Saudita in queste partite. Probabilmente qualcosa bolle in pentola anche da quelle parti. Novità potrebbero emergere prima delle elezioni presidenziali americane.

E il ruolo storicamente anti-russo nel Mar Nero e nel Caucaso svolto dalla Turchia?

Per il momento è un retaggio del passato. Mosca ha saputo sfruttare bene il conflitto in Siria così da costringere la Turchia a un ridimensionamento delle sue azioni in questi quadranti.

Dunque Tripoli non è destinata a cadere ma a prefigurare un accordo politico tra Turchia e Russia. Come potrebbe essere la “nuova” Libia? Uno stato federale espressione del condominio russo-turco?

Per rispondere occorrerebbe spingersi troppo in avanti e guardare oltre alla “nebbia della guerra”. Però se devo darle la mia sensazione, è che al termine dell’escalation militare che stiamo vedendo in questi giorni non ci sarà una battaglia per Tripoli, ma un accordo politico russo-turco che lentamente, verso la fine del 2020, aprirà ad un nuovo scenario.

In questo quadro quali sarebbero i guadagni e le perdite per Francia e Italia?

La Francia sarebbe la grande sconfitta. L’Italia forse potrebbe cavarsela, ma dovrà abbassare i toni con la Turchia. Tutto sommato ci potrebbe andare peggio.

Perché l’Occidente, si chiami Stati Uniti o Francia, perde rilevanza?

Qualcuno direbbe perché non vogliamo più combattere per i nostri interessi o vogliano combattere a morti zero. Il che è giusto o quantomeno comprensibile. Ma allora perché siamo stati i peggior guastatori del vecchio ordine internazionale che era uscito dalla guerra fredda? Perché abbiamo pensato di esportare la democrazia, sostenere l’ingerenza negli affari interni, interpretare ad hoc il diritto internazionale dove ci piaceva, invocare il diritto-dovere di proteggere militarmente i diritti dell’uomo e alimentare insurrezioni?

Cosa risponde?

Mi chiedo semplicemente se l’Occidente, che sembra non avere  più il coraggio delle armi, non debba coerentemente avere un approccio più conservatore alle relazioni internazionali e rinunciare alla portata universale dei suoi elevati standard morali.

(Federico Ferraù)