Le truppe USA cacciate dal Niger. Quello che finora era solo un annuncio si sta traducendo in realtà. Gli americani hanno dovuto accettare la decisione della nuova giunta golpista nigerina guidata da Abdourahamane Tchiani, presidente del Consiglio nazionale per la salvaguardia della Patria, che si è avvicinata ai russi allontanando gli occidentali. Una scelta della quale molto probabilmente gioiscono le formazioni jihadiste legate a ISIS e Al Qaeda, pronte a cercare di occupare sempre più territorio, mettendo in pericolo gli interessi dell’Occidente nell’area.
Si tratta di gruppi che non si occupano direttamente di traffici illeciti, spiega Marco Di Liddo, direttore del CeSI (Centro studi internazionali), ma impongono una sorta di dazio alle organizzazioni criminali che operano nel Sahel, anche in relazione al traffico di esseri umani che alimenta i flussi migratori in direzione dell’Italia e dell’Europa.
Proprio l’Italia è l’unico Paese occidentale cui il governo nigerino non ha imposto di andarsene. Il nostro contingente addestra le truppe del Paese, per garantire anche la sicurezza dei connazionali nella zona e il controllo del terrorismo. Senza gli americani, però, il pericolo è proprio questo: che il jihadismo approfitti della situazione per controllare porzioni sempre più ampie del territorio anche sfruttando a suo vantaggio la rivalità locale fra Tuareg e Fulani.
Che scenario apre la partenza di mille militari USA dal Niger, a quali contraccolpi può portare, anche in termini di contrasto dei movimenti jihadisti?
Gli USA hanno dovuto accettare una decisione del governo nigerino. Devono lasciare un assetto molto importante come il monitoraggio della minaccia jihadista in tutta la fascia saheliana. All’interno dei fronti jihadisti internazionali quello africano è il più peculiare, ha un ritorno regionale molto alto, senza che sia in grado di portare ancora una minaccia globale. La giunta nigerina, però, ha assunto una posizione molto critica nel confronto dell’Occidente e ha imposto agli USA di andarsene: un diktat che va inserito nel contesto delle decisioni del Mali e del Burkina Faso di mandare via anche i francesi. Probabilmente i jihadisti ringraziano.
Si tratta, insomma, di una decisione politica: i nigerini non vogliono più gli occidentali?
Sì. Gli americani non vengono mandati via perché non hanno fatto il loro lavoro, ma perché secondo la nuova giunta nigerina la loro presenza è politicamente scomoda, tanto che il Paese vuole avvicinarsi ad altre realtà.
Ci sono state manifestazioni per chiedere l’allontanamento USA, raggruppamenti in cui sventolava qualche bandiera russa. Questa decisione è frutto anche di un sentimento popolare?
Anche qui i governi sono abili a cavalcare i sentimenti più profondi della popolazione. Il populismo esiste anche in Africa, le giunte si giocano la carta dell’anticolonialismo e dell’antioccidentalismo, che in questo momento tira molto in tutto il continente e in particolare nel Sahel.
Che tipo di presenza è quella jihadista nella zona e che pericoli ci sono ora che gli americani se ne vanno?
Tutti i Paesi africani, soprattutto quelli più grandi, non controllano interamente il loro territorio, non hanno le risorse sufficienti per farlo. In Niger la minaccia jihadista si concentra in due aree: quella più importante è il quadrante sudoccidentale in prossimità di Nigeria, Burkina Faso e Mali. Le due regioni sono quelle di Tillaberi e Tahoua. Lì sono molto attivi sia la provincia dello Stato islamico del Grande Sahara, sia il Movimento per la salvezza dell’Islam e dei musulmani, un cartello di movimenti vicini ad Al Qaeda. Sfruttano gli scontri etnici fra Tuareg e Fulani che lottano per l’accesso alle risorse idriche e ai pascoli. I Fulani allevano gli zebù, mentre i Tuareg sono commercianti e allevatori di cammelli e dromedari. Ognuno dei due gruppi cerca qualcuno che li aiuti.
Come si inseriscono i fondamentalisti islamici?
I movimenti jihadisti aiutano soprattutto i Fulani. Nella parte meridionale del Paese, soprattutto nella zona del Lago Ciad, c’è Boko Haram che conduce attività di reclutamento e guerriglia ed è in grado di colpire le pattuglie dei soldati nigerini. Nell’estremo Nord al confine con Libia e Algeria, nella zona di Agadez, sono attivi i Tuareg, che in misura più o meno fluida sono in contatto con il network di Al Qaeda. Sempre al Nord anche il governo nigerino si appoggia ai Tuareg, in virtù di un accordo che garantisce loro un autogoverno blando in cambio della cessazione delle ostilità. Ci sono però ancora acredini che creano instabilità. Il fronte meridionale dal punto di vista terroristico è più attivo.
Qual è il vero rischio che si corre: che questi movimenti controllino sempre di più il territorio e magari anche i flussi migratori?
Che possano controllare porzioni di territorio è già una realtà. Il traffico degli esseri umani non è principalmente nelle corde dei movimenti jihadisti: fanno i soldi grazie alle donazioni del loro network a livello internazionale, la tassazione dei villaggi che controllano, chiedendo la Zakat (l’elemosina rituale prevista dall’Islam, nda) e con attività illecite. Non commerciano direttamente droga o esseri umani, né si occupano di contrabbando, ma chiedono a chi transita nei loro territori il pagamento di un obolo. Il traffico di esseri umani è gestito da organizzazioni criminali, in parte dalla mafia nigeriana e dalle organizzazioni statali dei Paesi di transito: poliziotti, guardie di frontiera e politici corrotti. Il pericolo principale è che i movimenti jihadisti assumano sempre più il controllo del territorio e portino una minaccia agli interessi americani e occidentali nella regione.
In Niger come in altri Paesi della zona i russi sono sempre più attivi: che ruolo giocano e che presenza hanno in mente di sviluppare?
I russi cercano di stabilire buoni rapporti politici con le leadership autocratiche per creare una rete di alleanze, ma soprattutto per sfruttare le risorse del territorio. I risultati dell’azione contro i jihadisti sono modesti perché addestrano il personale oppure offrono un limitato supporto nelle operazioni combattive. Il vantaggio è che non chiedono il rispetto dei diritti umani, ma solo contratti commerciali. La loro presenza è un problema per l’Europa: senza migliorare le condizioni economiche e la governance si creano fattori che contribuiscono all’aumento dei flussi migratori. E i migranti non vanno in Russia ma in Europa.
L’ultimo contingente occidentale rimasto è quello degli italiani. Perché il nostro Paese ha dei soldati in Niger, qual è la loro funzione?
Le autorità nigerine ci percepiscono come partner utili con una presenza politica tollerabile. Bisogna vedere fino a quando la partnership andrà avanti. Noi abbiamo interesse a rimanere anche per una questione di sicurezza nazionale. Gli italiani sono lì per addestrare le truppe nigerine a difendersi dalle minacce alla loro e nostra sicurezza nazionale, per supportarli nella lotta al jihadismo e alla criminalità organizzata che producono effetti negativi per noi, come il traffico di esseri umani e il terrorismo che può colpire cooperanti e imprenditori. È una minaccia trasversale.
(Paolo Rossetti)
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