Di solito Confindustria è dalla parte del governo per natura, secondo uno degli insegnamenti di Gianni Agnelli: “Quello che va bene per Fiat va bene per l’Italia”, disse una volta, “la Fiat è per vocazione filogovernativa”. L’Avvocato non c’è più, così come la Fiat, ma la sua regola vige ancora. Se dunque anche Confindustria perde la pazienza con il governo, vuol dire che il problema è molto serio. Tra la fine della scorsa settimana e l’inizio di questa, il presidente degli industriali ha lanciato allarmi drammatici. Il 16% delle aziende ha già ridotto o interrotto la produzione, e di questo passo un altro 30% si aggiungerà nei prossimi mesi. In totale fanno quasi il 50%. 



Il Centro studi di Confindustria valuta un dimezzamento della crescita prevista, allontanando ancora il ritorno ai livelli produttivi precedenti al Covid e facendoci entrare in fase di recessione. “Produrre è diventato antieconomico”, ha spiegato Carlo Bonomi, “se andiamo a scartamento ridotto è un problema per il Paese”. I consumi di gas sono scesi del 9,3% a febbraio e del 10,3% a marzo. Le aziende non hanno spento i termosifoni o l’aria condizionata, secondo la battuta fuori luogo del premier Mario Draghi: hanno spento gli impianti.



La crisi ha una causa indiscussa, cioè il rincaro dei prezzi dell’energia, a sua volta dovuto al combinato disposto di diversi fattori: la grande richiesta legata alla ripresa post pandemica, la speculazione, le crescenti tasse sulle emissioni legate alla transizione verde, il taglio agli investimenti sulle fonti tradizionali, ovvero quelle fossili. A tutto ciò si sono sommate le conseguenze delle sanzioni alla Russia, che – come alcuni avevano previsto e altri hanno finto di non vedere ma sono ora costretti a riconoscere – si stanno rivelando un tragico boomerang contro il nostro sistema produttivo. È una guerra nella guerra che ha come obiettivo non il controllo di un territorio, ma la conquista di uno dei sistemi economici e industriali finora più vitali del pianeta.



Per questo è suonata ancora più sconcertante la frase sui condizionatori di Draghi. Ancora ieri, il presidente del Consiglio incontrando il primo ministro olandese Mark Rutte ha insistito, senza successo, sull’apposizione di un tetto al prezzo del gas russo e si è allineato sull’adozione di nuove sanzioni europee contro Putin. Sempre ieri è stato confermato che è stato Draghi l’ideatore del meccanismo che ha bloccato le riserve monetarie di Mosca nel tentativo di ostacolare l’economia russa. L’Italia si dimostra dunque perfettamente allineata ai voleri degli Stati Uniti se non asservita, al punto di suggerirne le mosse. 

Tanto attivismo tuttavia non si vede per sostenere l’economia interna, o quello che ne resta. Non si parla di altri scostamenti di bilancio o di misure straordinarie: l’Europa ha lanciato il suo Recovery fund, noi abbiamo il nostro bel Pnrr che arranca miseramente e ce ne dobbiamo fare una ragione. 

L’accenno ai condizionatori non è solo un ritorno all’economia domestica: è una profezia dell’immiserimento prossimo venturo. Il tenore di vita degli italiani è destinato a ridursi, i razionamenti sono in vista, l’economia di guerra è alle porte. E tutto ciò viene accettato dalla politica senza battere ciglio, anzi viene difeso nelle dichiarazioni pubbliche e organizzato nei palazzi del potere. Naturalmente ogni cosa viene giustificata in nome della pace in Ucraina e della fatalità di una congiuntura internazionale senza precedenti, tacendo sulle cause reali della povertà incipiente. E sulle scelte che le hanno accompagnate.

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