L’Istat ha rivisto al rialzo la stima sulla crescita del Pil del primo trimestre: dal -0,4% congiunturale si è passati al +0,1% e dal -1,4% tendenziale al -0,8%. Sempre ieri, la lettura finale dell’Indice PMI manifatturiero italiano relativo al mese di maggio, con un valore pari a 62,3 ha segnalato la migliore prestazione delle condizioni operative dall’inizio della storia dell’indagine IHS Markit, nel giugno del 1997.



Si tratta di dati che sembrano fornire conferme alle recenti previsioni ottimistiche sulla ripresa della nostra economia. «In effetti è così – sottolinea Mario Deaglio, Professore emerito di Economia internazionale all’Università di Torino -, si tratta di numeri che forniscono supporto alle previsioni internazionali, come quella diffusa dall’Ocse lunedì. Tuttavia, va ricordato che ciò significa che il nostro Pil tornerà ai livelli pre-Covid nella seconda metà del 2022. In ogni caso pare che abbiamo intrapreso un buon sentiero di recupero».



Guardando all’Indice PMI, e considerando che solo ora stanno venendo meno le restrizioni per molte attività, sembra che dobbiamo ringraziare la manifattura se abbiamo cominciato bene il cammino verso la ripresa.

Sì, la nostra industria ha fatto progressi importanti, specie nelle esportazioni verso l’Ue, principalmente relative a semilavorati e non a prodotti finiti. Questo significa che il legame con la manifattura tedesca continua a essere forte. La pandemia ha mostrato la fragilità delle catene del valore particolarmente lunghe e ciò ha avvantaggiato l’Italia, che per la sua vicinanza è considerata più attendibile, oltre che fornitrice di prodotti di maggior qualità.



Le stime sulla crescita del nostro Pil sono per una volta tanto superiori alla media europea. Cos’è cambiato?

In parte, come ho spiegato poco fa, ci sono elementi esterni che hanno favorito la domanda verso l’Italia invece che verso altri Paesi. Inoltre, negli ultimi anni nel nostro Paese sono nate e sono cresciute diverse imprese che stanno andando molto bene. Per esempio, quelle che applicano le innovazioni tecnologiche all’agricoltura. Anche sui settori legati all’ambiente siamo ben piazzati. L’Italia ha piccole eccellenze di cui si parla poco: gli articoli sportivi professionali, i macchinari per realizzare alcuni prodotti alimentari, gli apparecchi medicali e altre ancora. In diversi piccoli settori le nostre aziende rappresentano il 30-40% del mercato mondiale. Se proseguiremo su questa strada, facendo ripartire bene anche i servizi, riusciremo a risalire la china e ad andare nel tempo oltre il fisiologico rimbalzo dell’economia.

I dati sul Pil sono importanti anche per quel che riguarda i conti pubblici. Riusciremo a trovare un equilibrio per non essere appesantiti dal debito?

Ci vorrà del tempo e soprattutto non bisognerà cedere alla tentazione di voler salvare tutte le imprese che sono state messe in difficoltà dalla crisi. Alcune misure sono opportune nei momenti di emergenza, ma ora che stiamo guardando al futuro bisogna semmai pensare ai lavoratori, favorendone il passaggio dalle aziende senza prospettive a quelle che invece ne hanno. A queste persone va dato non tanto un ristoro, quanto gli strumenti per ricollocarsi, le famose politiche attive.

Il mese prossimo dovrebbero arrivare le prime risorse del Recovery fund, mentre negli Stati Uniti Biden ha annunciato un nuovo piano di stimoli per 6.000 miliardi di dollari

Guardo con una certa preoccupazione a questo forte attivismo di Biden, perché sta proponendo di immettere nell’economia molti dollari.

Troppi?

Sì. Se il piano verrà approvato dal Congresso ci sarà un’enorme spinta inflazionistica. Quindi, dovremo aspettarci come minimo un dollaro in ribasso e un conseguente rialzo del prezzo petrolio. Se lo pagheremo di più dipenderà anche da un’eventuale svalutazione del greggio. Quel che è certo è che la fiammata inflattiva potrebbe avere conseguenze anche per noi.

Crede che in ogni caso l’Europa dovrebbe fare qualcosa di più rispetto al Recovery fund?

Per dare una risposta completa bisognerebbe capire quali effetti concreti determinerà la spinta green. Penso che finora l’Europa abbia fatto bene, anche per quel che riguarda le cifre messe sul tappeto, perché non abbiamo l’elasticità degli americani. Dobbiamo però stare attenti alle conseguenze che potrebbe avere l’idea di agire sempre e solo in ottica verde: verranno multate le società che estraggono petrolio? Si arriverà a tassare le importazioni di quei prodotti che se realizzati in Europa avrebbero comportato minori emissioni di gas serra?

(Lorenzo Torrisi)

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