Un’Italia ponte fra Mediterraneo ed Europa, soprattutto dal punto di vista energetico, che vuole fare della Libia sempre più un suo partner e affrontare anche il tema dei migranti, sviluppando attraverso il decreto flussi una via legale per trasferirsi nel nostro Paese. L’immagine che esce dal Business Forum Italia-Libia, accreditata dalle parole del presidente del Consiglio Giorgia Meloni, è di due nazioni che vogliono stringere rapporti d’affari solidi nel campo petrolifero come nella sanità, intenzione confermata dalla presenza di numerose aziende italiane e libiche, tra cui alcune leader nei settori di riferimento.
La Libia ha potenzialità tutte da esplorare per l’Italia, spiega Michela Mercuri, docente di cultura, storia e società dei Paesi musulmani all’Università di Padova, ma bisogna fare i conti con un’instabilità politica che la vede spaccata in due e soggetta all’influenza straniera: quella dei turchi, ad esempio, e quella dei russi, legati al leader della Cirenaica Haftar. È questa l’incognita che grava sui piani italiani, sulla realizzazione del Piano Mattei, ma anche sullo sviluppo del business per il quale il Forum di Tripoli vuole fare da volano.
Italia e Libia hanno firmato un memorandum con le rispettive Camere di commercio. Quali sono gli ambiti in cui verrà sviluppata la collaborazione? Vista la difficile situazione interna, quali sono le probabilità di attuarli?
I dossier sul tavolo sono quattro: energia, pesca, sanità e infrastrutture, discussi in tanti incontri a margine, tanti B2B, come nelle fiere italiane, con 150 aziende libiche e 200 italiane e il monitoraggio delle istituzioni e della Camera di commercio libica. Un forum ben organizzato, ma in un Paese che ha ancora problemi di sicurezza, in cui ci sono milizie che creano disordini, combattono fra loro, chiudono pozzi di petrolio.
E in cui contano anche fattori esterni?
Ci sono la Turchia da un lato, ma soprattutto la Russia, che ha un hub nel porto di Tobruk da cui fa passare armi dirette verso il Sahel. In Libia c’è un processo politico che, per usare un eufemismo, stenta ad avanzare, anche se ci si sta impegnando per rimettere in piedi l’economia del Paese, precondizione per creare quella stabilità che potrebbe portare ad accordi politici e istituzioni uniche. L’Italia si sta muovendo bene, ma su un terreno molto scivoloso.
Che peso dà il governo Meloni ai nuovi accordi con la Libia?
La Meloni ha puntato sull’immigrazione, facendo capire che attraverso il Piano Mattei sta cercando di affrontare il tema in una visione molto più lungimirante. La Libia deve essere un partner e non un Paese in cui i migranti vengono trattenuti. In questo contesto il presidente del Consiglio ha parlato di rafforzare il decreto flussi. Ma ha parlato anche di Italia come hub energetico nel Mediterraneo, delle potenzialità e progettualità che possono connettere dal punto di vista elettrico ed energetico il Mediterraneo all’Europa attraverso l’Italia.
Le esportazioni italiane in Libia nel 2024 sono aumentate del 34%. Qual è lo stato dei rapporti Italia-Libia attualmente?
La crescita dell’export è un dato importante. Ora il Business Forum di Tripoli potrebbe aumentare lo scambio con nuovi progetti, soprattutto accordi tra piccole e medie imprese nell’ambito delle infrastrutture, dei trasporti, della sanità, dello sviluppo, della finanza, della formazione. La presenza di società come Enac, il Gruppo San Donato per la sanità, Sace, Simest, Ice, dimostra che si punta molto sullo sviluppo commerciale, di partnership, fondamentale secondo i principi del Piano Mattei.
Una collaborazione, insomma, che va oltre il tema migratorio cui siamo ancora abituati a sentir associare la Libia?
Si vuole perseguire una collaborazione a tutto tondo, nella quale, certo, dobbiamo sempre valutare il contesto: la Libia è ancora un Paese in cui non c’è un governo stabile e il potere è diviso in due centri, fra l’Est in cui comanda Khalifa Haftar con il figlio Saddam e l’Ovest di Dbeibah. Di questo si dovrà tenere conto.
Recentemente i libici hanno bloccato i lavori del cantiere dell’aeroporto di Tripoli appannaggio di aziende italiane. Ci sono interferenze straniere che ostacolano i nostri interessi?
Già nel 2017, con il governo di Al Sarraj, il consorzio Aeneas si era aggiudicato la commessa per la ricostruzione dell’aeroporto di Tripoli, una delle più importanti opere previste per la ripresa economica del Paese. Il blocco, giustificato da rilievi tecnici necessari per la continuazione dei lavori da parte delle autorità libiche, è uno dei temi prioritari di discussione nel Forum. Il 50% delle forniture e una buona parte dei lavori è già stata messa in campo dal Consorzio. Si mormora che la Turchia, avendo molti interessi a Tripoli e avendo firmato Erdogan accordi con Sarraj, si aspetti di far parte della ricostruzione che riguarda anche l’aeroporto.
Cosa è stato applicato finora del Piano Mattei in Libia?
Vista la situazione di questi ultimi mesi, in cui Saddam Haftar, sostenuto dai russi, si è diretto con i suoi soldati verso l’oasi di Ghadames per cercare di arrivare a Tripoli, molti progetti sul tavolo sono stati rallentati. Saddam Haftar ha ordinato la chiusura di uno dei principali giacimenti libici, quello di El Sharara, passato da una produzione di 250mila barili al giorno a 10mila, in un sito che rappresenta il 25% di tutta la produzione petrolifera del Paese. Questo per far capire come sia difficile agire nel contesto libico.
Gli accordi comunque è meglio averli che non averli.
Gli accordi ci sono, come quelli siglati a maggio tra il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso e il ministro dell’Industria e dei minerali libico nei settori energetico, green e minerario. Il Business Forum è importante perché questi accordi devono essere sbloccati. Resta l’incognita Haftar, con cui l’Italia dovrebbe aprire un dialogo perché senza di lui in Libia è difficile fare cooperazione e affari. Che piaccia o meno.
Qual è la situazione interna del Paese dopo l’accordo sulla Banca centrale? Quanto si è assestata la situazione?
La nomina di un nuovo governatore della Banca centrale ha causato sicuramente una grande confusione. Oltre ad Haftar e Dbeibah, ci sono molte milizie e attori importanti che riescono a esercitare pressioni su questi leader. È positivo che si stia convergendo verso un nuovo governatore della Banca, ma non sappiamo quanto reggerà e quanto le varie milizie riusciranno a rispettare l’intesa. Il petrolio è fondamentale in Libia: la maggior parte viene prodotto in Cirenaica, ma i proventi vanno in Tripolitania e vengono ridistribuiti. Qui sta il nocciolo del problema: fino a che non si capirà come organizzare questa ridistribuzione accontentando tutte le anime del Paese, non solo Haftar e Dbeibah, ma anche le milizie che poi vanno a chiudere i pozzi, sarà difficile trovare una stabilità.
(Paolo Rossetti)
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