L’Italia batte i suoi grandi rivali europei. Meglio di noi nessuno è uscito dal Covid. Lo dicono i dati rielaborati dalla Cgia Mestre, secondo i quali tra il 2019 e il 2023 la nostra economia ha visto una crescita del 3% del Pil, molto più di rivali storici come Spagna (più 2,3%) Francia (più 1,8%) e Germania (più 0,7%). Un risultato lusinghiero che si accompagna ad altri numeri che, almeno sulla carta, certificano il buon momento italiano, con il tasso di occupazione che a ottobre ha raggiunto il 61,8%. Un dato da interpretare, ma che comunque, in termini assoluti, fa il paio con i risultati lusinghieri realizzati per lasciarsi alle spalle il coronavirus.
Niente che possa indurre a trionfalismi, spiega Paolo Zabeo, coordinatore dell’Ufficio Studi Cgia. Anzi, la strada per l’ammodernamento del Paese passa da una diminuzione delle tasse che non scassi i conti dello Stato e dall’efficientamento della pubblica amministrazione. Sulla congiuntura pesa ancora l’inflazione, scesa per il calo della spesa energetica e non per le politiche restrittive della Bce, che ha continuato ad aumentare i tassi di interesse: una tendenza che va invertita perché rischia di bloccare la crescita. I dati sull’uscita dal Covid, comunque, dimostrano che la locomotiva del Paese sta nel triangolo Milano, Venezia, Bologna, con la Lombardia che tira il gruppo.
Come mai l’Italia è uscita dal periodo Covid con una crescita migliore degli altri grandi Paesi europei? Cosa ci ha permesso di conseguire questo risultato?
Quello che ha inciso di più sono stati sicuramente i 270 miliardi di euro che sono stati messi in campo dai governi Conte 2, Draghi e Meloni per contrastare il Covid e il caro energia, il caro bollette. Non tutti sono stati spesi bene, però hanno anestetizzato la crisi, hanno mantenuto i consumi, soprattutto delle famiglie meno abbienti. Abbiamo gestito bene la crisi energetica, con un passaggio indolore dalla dipendenza russa ad altre fonti di approvvigionamento, a differenza della Germania che sta pagando ancora le conseguenze. Questi sono gli elementi che hanno inciso di più per affrontare la situazione, anche per quanto riguarda l’inflazione.
Negli altri Paesi europei queste misure non sono state adottate? O sono state applicate in misura inferiore?
Ci sono state ma probabilmente non hanno avuto la stessa efficacia. Il nostro sistema produttivo ha retto meglio: abbiamo una grande vocazione all’export, più piccole imprese degli altri che per questo sono più flessibili, mentre Francia e Germania hanno un numero più alto di grandi imprese. La Germania in particolare sta vivendo un momento difficilissimo del settore dell’auto, quello più importante della manifattura tedesca, che risente del passaggio dai motori benzina e diesel a quelli elettrici. Anche gli effetti della guerra hanno pesato più in Germania che da noi: Berlino ha risentito di più del distacco dal gas russo da cui era più dipendente.
I problemi dell’automotive tedesco si riflettono anche sull’Italia visto che siamo grandi fornitori della Germania da questo punto di vista?
Sì e i problemi riguardano anche altri nostri settori che dipendono dal mercato tedesco: penso al legno arredo, al mobile, alla moda e altri ancora. Ci sono ricadute su di noi degli effetti della crisi tedesca. Però i dati ci dicono che abbiamo reagito meglio.
Questa classifica lusinghiera non può cancellare i problemi e le difficoltà che sta incontrando anche l’economia italiana. Quali sono, secondo voi, le criticità?
Ci sono problemi che ci trasciniamo da decenni come la povertà, la disoccupazione femminile e giovanile, il lavoro nero, le tasse e la burocrazia. Abbiamo cavalcato meglio l’onda dell’epidemia, ora il problema è ritrovare lo slancio per riprenderci.
Quali sono le priorità su cui bisogna agire? Quanto pesa ancora l’inflazione, che sta diminuendo ma fa sentire ancora i suoi effetti?
L’inflazione rimane ancora alta sui prodotti alimentari ma è destinata ad abbassarsi, salvo disastri dovuti a cambiamenti della situazione geopolitica: ci sono due guerre in corso e quella del Medio Oriente c’è il rischio che degeneri ulteriormente. Dobbiamo giocarci bene la carta del Pnrr: se sapremo spendere bene questi soldi, in maniera efficace, ci giocheremo una carta importante. Abbiamo bisogno di ammodernare il Paese dal punto di vista delle infrastrutture materiali, in campo sociale, investendo di più sull’istruzione. Dobbiamo rilanciarci nella pubblica amministrazione, rinnovarla, spendere bene questi 194 miliardi: il grosso problema è riuscire a farlo entro la scadenza, giugno 2026. Occorre fare bene e fare in fretta. Questi soldi serviranno anche per le riforme, ce ne chiedono 66, la stragrande maggioranza delle quali riguarda la pubblica amministrazione, i suoi tempi di pagamento, la giustizia.
I dati dicono anche che le regioni più resilienti sono Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna: uno spaccato di un’Italia a due velocità, se non a tre?
Rispetto agli anni 60-70-80 questa è la nuova locomotiva, ilo nuovo triangolo industriale, la parte più produttiva del Paese. Non più il Nord Ovest: bisogna prenderne atto. Questo è il nostro modello economico, fatto prevalentemente da piccole e medie imprese, con una grande vocazione all’export e una pubblica amministrazione che funziona generalmente molto meglio che in altre aree del Paese. Bisogna investire di più. Abbiamo il grosso problema del declino demografico: avremo sempre meno giovani e questo con il tempo sarà un problema molto serio, che rischia di sommergerci. Poi abbiamo anche un problema di alzare il livello di istruzione nelle materie tecniche e in quelle scientifiche.
L’aumento dell’inflazione è stato affrontato dalla Bce con un aumento sostanzioso dei tassi di interesse che hanno bloccato un po’ la ripresa. Come bisogna agire sotto questo aspetto?
La politica della Bce è stata sbagliata perché l’aumento dei prezzi in Italia e in Europa è stato causato dall’aumento del prezzo dei prodotti petroliferi e del gas. Non era un’inflazione da domanda. L’inflazione sta scemando perché sta diminuendo il prezzo del gas e dell’energia elettrica, così come quello della benzina.
In cosa le scelte della Bce hanno influito negativamente?
Aver aumentato in modo esponenziale i tassi di interesse ha ridotto in qualche modo la massa monetaria circolante, creando ulteriori problemi per quanto riguarda l’inflazione, perché ha ridotto i prestiti bancari alle imprese, soprattutto quelle di piccola dimensione, ha aumentato il costo dei mutui per la casa. Le piccole imprese sono riuscite a superare questi ostacoli autofinanziandosi, utilizzando i soldi che avevano messo da parte finora. Ma se la Bce nei prossimi mesi non ridurrà gradualmente i tassi le aziende non potranno investire, perché non avranno i soldi, le risorse per farlo.
Da cosa bisogna cominciare per rilanciare l’economia?
Le priorità sono tasse, burocrazia ed efficienza della macchina pubblica. Se si arriverà, speriamo in tempi ragionevolmente brevi, a una riforma fiscale che abbassi in maniera strutturale la tassazione, senza scassare i conti dello Stato, si giocherà una partita importante anche per quanto riguarda la riduzione della spesa pubblica. Va tagliata, razionalizzata, tenendo conto delle esigenze delle persone: non bisogna fare macelleria sociale sulle pensioni piuttosto che sulla sanità, ma agire sugli sprechi, gli sperperi e le inefficienze, sull’evasione anche se la politica la usa un po’ come scudo. Va capito se è lo Stato che non sa dove andare a parare oppure se non è così elevata e drammatica come ci dicono. Siamo a un Grande fratello fiscale, il fisco se vuole ha ogni informazione su ognuno di noi, mi chiedo perché mai non si riescano a scovare gli evasori. Il problema è che comunque la spesa corre più delle entrate e siamo sempre in affanno. L’evasione va contrastata, ma il vero problema è che non riusciamo a fermare la spesa: la spending review è un ricordo.
(Paolo Rossetti)
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