L’inflazione, il miglioramento inaspettato dell’economia nonostante le nefande previsioni di qualche avvoltoio, ma anche la fine delle proroghe che hanno accompagnato la pandemia. Tutto ha concorso ad aumentare la pressione fiscale a livelli record, tanto che le nostre imprese detengono il triste primato di essere le più tartassate d’Europa. Un handicap pagato caro prezzo quando devono contendere alle aziende straniere le commesse di lavoro, misurandosi ad armi impari, da questo punto di vista, nella contesa per accaparrarsi nuove opere o forniture.



I numeri messi in fila dalla Cgia (Confederazione generale italiana dell’artigianato) di Mestre sono impietosi e ripropongono un problema annoso. E in attesa che il Governo metta in pratica, ma ci vorranno due anni, quanto appena annunciato relativamente alla sua riforma fiscale, le piccole imprese, spiega Paolo Zabeo, coordinatore Ufficio studi CGIA, definiscono le loro priorità in questo campo: riduzione del carico fiscale e dell’evasione, ma anche la semplificazione delle norme.



Le imprese italiane sono quelle che pagano più tasse in Europa: in termini di incidenza rispetto al totale del gettito fiscale, purtroppo, non hanno rivali. Quali sono i motivi e quanto subiscono questo divario in termini di concorrenza con le aziende straniere nel mercato globale?

Se escludiamo la Francia, la ragione di questo risultato è riconducibile al fatto che la pressione fiscale italiana è superiore a quella dei nostri principali concorrenti economici europei. Pertanto, anche le imprese, in particolar modo quelle che esportano, sono danneggiate da questa criticità.

Il livello di tassazione sulle imprese è del 27,9%, 6.7 punti sopra la media Europa. In Germania, però, è addirittura più alto e Francia e Spagna sono al 25.8 e 25. Nelle economie più forti questo livello si alza? E perché però in Italia resta così alto?



Tendenzialmente sì, nei Paesi occidentali le imprese sono da sempre un buon serbatoio per il fisco. Ma il vero problema, almeno in Italia, non sta solo nel fatto che paghiamo tanto, ma, in particolar modo, sono la qualità e la quantità dei servizi resi dalla nostra Pubblica Amministrazione che, in moltissime aree del Paese, presentano livelli inaccettabili.

Il vostro rapporto parla di livello record della pressione fiscale, del rapporto cioè tra entrate fiscali e pil, giunto nel nostro Paese al 43.5%. Cosa ha fatto crescere questa percentuale proprio nel 2022?

Sul contribuente medio italiano grava un carico fiscale del 43,5 per cento. Nel 2022 abbiamo raggiunto questo record, non tanto perché sono aumentate le tasse o i contributi previdenziali, ma dal combinato disposto di almeno tre fattori. Il primo, da un forte aumento dell’inflazionemiglioramento economico e occupazionale avvenuto, in particolar modo, nella prima parte dell’anno, che ha favorito la crescita delle imposte dirette e il terzo, dall’introduzione nel biennio 2020-2021 di molte proroghe e sospensioni dei versamenti tributari, agevolazioni che sono state cancellate per il 2022.

Il Governo ha appena presentato i principi della sua riforma fiscale: va incontro alle richieste delle imprese? Quali sono le priorità per abbassare la pressione fiscale sulle aziende?

Dovendo aspettare ancora due anni per avere a disposizione tutti i decreti attuativi è prematuro dare un giudizio. In linea di principio, comunque, una riforma fiscale che abbia l’ambizione di definirsi tale deve, innanzitutto, indicare preventivamente quanto costa e dove si recuperano le coperture, dopodiché ha il compito di conseguire, in tempi ragionevolmente brevi, almeno altri tre obbiettivi: la riduzione del carico fiscale a famiglie e imprese, la semplificazione del rapporto tra il fisco e il contribuente, la riduzione dell’evasione e dell’elusione fiscale.

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI