Nel primo trimestre del 2024, secondo una recente pubblicazione dell’Ocse, la crescita reale dei salari in Italia rispetto al trimestre precedente è stata la più alta tra le principali economie globali. Il dato è stato giustamente giudicato positivo e incoraggiante per la traiettoria dell’economia nazionale. La crescita reale dei salari è uno degli indicatori principali per misurare la salute dell’economia e la bontà delle politiche economiche. Senza questa caratteristica anche i dati sul Pil o sul mercato del lavoro devono essere ridimensionati; la crescita dei salari è la base duratura su cui si reggono i consumi e le valutazioni degli asset finanziari, borse e obbligazioni inclusi.



Fermarsi all’ultimo trimestre nel caso italiano è però fuorviante. Il recente primato dell’economia italiana è un’anomalia sia rispetto alla storia degli ultimi anni che di quella degli ultimi decenni. L’Ocse poco più di un mese fa pubblicava un report sul mercato del lavoro che metteva l’Italia al terzultimo posto, tra i 38 Paesi dell’organizzazione, e all’ultimo posto nell’Eurozona per crescita dei salari reali dall’ultimo trimestre del 2019 al primo del 2024. I salari reali italiani in questo lasso di tempo sono scesi del 6,9% dal trimestre precedente l’arrivo del Covid contro una media dell’organizzazione di una crescita dell’1,5%. Allungando l’orizzonte si ritrova, purtroppo, lo stesso andamento. Tra il 1991 e il 2022 i salari reali in Italia sono cresciuti di appena l’1% contro una media del 32,5% nell’area Ocse. Ormai quasi da due generazioni gli italiani subiscono un processo di impoverimento, rispetto agli altri Paesi sviluppati, innegabile. Questi dati devono diventare la lente con cui rileggere una storia che attraversa Governi di schieramenti diversi.



Più di tre decenni di impoverimento sono il punto di partenza per le politiche economiche di qualsiasi Governo. Ci si può, per esempio, chiedere se è giusto che l’Italia si consideri ancora ricca e prosegua acriticamente sulle politiche “di tutti” quando tutto suggerisce che la traiettoria è negativa. Tre decenni di cali dimostrano che i problemi sono strutturali. È difficile immaginare un recupero, rispetto agli altri Paesi dell’Ocse, senza prendersi margini di manovra. Le grandi scelte, dalla transizione energetica ai rapporti commerciali, che l’Italia si appresta a compiere non possono ignorare quello che è accaduto. Più l’Italia si impoverisce, più diventa irresistibile, tra l’altro, la tentazione di “risolvere” il problema sociale con politiche punitive per i risparmiatori e le imprese. Questo è vero in Europa e ancora di più per i Paesi che hanno performato peggio.



Dare risalto alla crescita reale dei salari è la prospettiva giusta per le grandi scelte di politica economica, altrimenti anche le “crescite del Pil” rischiano di valere poco.

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