Non stupisce che in campagna elettorale i partiti tendano a indorare la pillola, ovvero a trasmettere la possibilità di un futuro migliore. Promessa largamente disattesa da almeno due decenni, visto che il reddito degli italiani, caso unico in Occidente, è in forte discesa dall’inizio del secondo millennio. Onestà vorrebbe, a questo punto, che eletti ed elettori facessero un esame di coscienza per capire la ragione del divario tra le aspettative del Paese e i mezzi a disposizione per raggiungerli. Nonché una scala delle priorità condivise dai cittadini, che non necessariamente coincidono con gli umori dell’opinione pubblica.
Un esempio? All’origine della disoccupazione, specie quella giovanile, c’è il basso livello di scolarizzazione media, che emerge dai test Invalsi. Il rimedio, per puro buon senso, dovrebbe passare da un grande investimento nelle professioni di oggi e domani recuperando lo spirito e le competenze di quelle scuole professionali che fecero la fortune dall’Italia del miracolo che oggi sono il principale iolly dell’ex Germania Est, dove il regime ebbe l’accortezza di non smantellare il sistema creato da Bismarck. Al contrario, di fronte ai dati catastrofici dei test Invalsi, l’unica proposta è stata la loro abolizione. Intanto viene celebrato come un grande successo un esame di maturità superato dal 99% dei candidati, un numero che alimenta i peggiori sospetti sulla qualità dei discenti. E, di riflesso, sugli insegnanti vittime della costante pressione di famiglie più preoccupate di evitare “scocciature” o contrattempi per le vacanze piuttosto che della preparazione di quei ragazzi che non possono colmare il gap culturale con studi all’estero. E i partiti, lungi dal chiedersi quale futuro possa avere il Paese a confronto con sistemi assai più attrezzati e competitivi, fanno a gara a promettere forti rialzi di stipendio a tutti gli insegnanti che, naturalmente, resteranno sulla carta.
È solo un esempio tra i tanti. C’è un crescente divario tra le chiacchiere sempre più gridate sui media social e no e la percezione della realtà, così come va affrontata giorno dopo giorno sulla base di valori di giustizia sociale condivisi. Quelli che, in questi giorni hanno spinto i cittadini di Rotterdam a imporre al municipio il divieto di smantellare un ponte per far passare il nuovo yacht di Jeff Bezos. Il padrone di Amazon si era impegnato a ricostruire il ponte in pochi giorni e a pagare per il disturbo, ma una folta schiera di organizzazioni civiche ha minacciato di bombardare lo yacht con il lancio di migliaia di uova. Non è questione di soldi, ma di principi: il denaro non può consentire tutto, in particolare nel caso di un miliardario che, utilizzando ogni tipo di scorciatoia, in pratica paga assai meno tasse di un qualsiasi artigiano.
Già, le tasse. Devono scendere, è il mantra che gli incantatori di serpenti ripetono a elettori ubriachi di promesse e di attese che non hanno fondamento. Prendiamo i dati, non contestati, di Alberto Brambilla, uno dei massimi esperti di previdenza. “Gli italiani – scrive – pensano di essere oppressi dalle tasse e invece la stragrande maggioranza di loro non solo non paga, nulla ma è anche beneficiaria di tutti i servizi gratis, a partire dalla sanità. Qualche esempio? Il Mef ci dice che quelli che fanno una dichiarazione dei redditi sono circa 41 milioni, ma quelli che pagano almeno 1 euro di Irpef sono 30 milioni; ergo metà degli italiani vive ‘a carico’ di qualche altro. Dieci milioni di contribuenti pari a 14,48 milioni di abitanti vivrebbero, in base alle loro dichiarazioni, per un intero anno con meno di 3.750 euro lordi; altri 8,1 milioni dichiarano redditi tra 7.500 e 15.000 euro, pari in media 651 euro al mese; altri 5.550.000 guadagnano tra i 15 e i 20 mila euro lordi l’anno (meno di mille euro al mese!), I contribuenti delle prime due fasce di reddito sono 18.140.077, cioè il 43,68% del totale dei dichiaranti pari a 26,13 milioni di abitanti. Tutti insieme pagano solo il 2,31% dell’intera Irpef, cioè circa 4 miliardi, cioè ben 153 euro l’anno. Per il solo servizio sanitario di cui beneficiano gratuitamente, costano ad altri cittadini ‘volonterosi’ ben 50,4 miliardi l’anno”.
Insomma, a pagare restano 34,1 milioni di abitanti, poco più del 57%, che messi insieme pagano 14,7 miliardi di Irpef pari all’8,35% del totale delle imposte. Per la sola sanità il costo a carico del 13,07% della popolazione, che dichiara da 35 mila euro lordi l’anno in su, sale a 54 miliardi e a 182 miliardi considerando anche altre due funzioni: scuola e assistenza. Le stesse proporzioni valgono per le imposte indirette.
Insomma, quasi la metà degli italiani non paga nulla o quasi dei servizi erogati dalle pubbliche amministrazioni. E non si tratta di un popolo di soli indigenti, ma di proprietari di case (prime e seconde), automobili, smartphone e abbonamenti alle pay-tv. Un popolo che non si batte contro i privilegi di Jeff Bezos, ma per impedire allo Stato di aggiornare il catasto. O per chiedere nuove folli aumenti di spesa o tagli suicidi delle entrate.
E a questo punto rispondete da soli alla domanda: perché solo noi non riusciamo a crescere?
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