Secondo quanto comunicato ieri dall’Istat, nel 2023 era a rischio povertà in Italia il 18,9% della popolazione rispetto al 20,1% dell’anno precedente. Un calo cui hanno contribuito i bonus una tantum contro il caro bollette, l’Assegno unico per i figli, le modifiche nella tassazione e l’aumento dell’occupazione. Restano, tuttavia, come ricorda Luigi Campiglio, Professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano, «delle differenze territoriali importanti, visto che al Sud e nelle Isole è a rischio povertà il 32,9% della popolazione contro l’11% del Nord-est».



Considerando che l’occupazione sta continuando ad aumentare e che si vorrebbero prorogare ed estendere gli sgravi fiscali, ci sono buone possibilità di vedere diminuire ulteriormente il numero di persone a rischio povertà…

Sì, per certi versi è la conferma che il miglior antidoto alla povertà è il lavoro. Tuttavia, occorre che sia ben retribuito. Non mi riferisco solo al problema del cosiddetto lavoro povero. Penso che il problema principale sia rappresentato dal fatto che il lavoro qualificato, che è in grado di contribuire alla generazione di valore aggiunto, non viene adeguatamente riconosciuto. Tra l’altro, se lo fosse, non ci sarebbe nemmeno bisogno di manovre fiscali atte ad aumentare i redditi.



L’Istat evidenzia che purtroppo nel 2022 c’è stato un calo dei redditi familiari reali. Tuttavia, facendo un raffronto con il 2007, si nota che la flessione dei redditi ha riguardato soprattutto il lavoro autonomo (-13,7%) e dipendente (-10,6%), mentre le famiglie il cui reddito è costituito principalmente da pensioni e trasferimenti pubblici hanno visto un aumento del 6,3%. Cosa ne pensa?

I redditi da pensione sono tutelati dalla legge, grazie alla rivalutazione annuale, mentre quelli da lavoro sono legati a logiche di mercato. Il vero nodo, come detto poc’anzi, è che generalmente la componente del contributo dei lavoratori alla creazione del valore aggiunto è sottovalutata. È, dunque, giusto che venga valorizzata la capacità imprenditoriale di proporre nuovi e migliori prodotti, ma occorre anche che vi sia un riconoscimento per chi materialmente li realizza.



Nel 2022 la disuguaglianza dei redditi si è ridotta tornando ai livelli del 2007. È senz’altro un buon segnale.

Sì, è un segnale positivo, ma stiamo parlando di redditi. Quello che più conta, per quel che concerne le disuguaglianze, è la distribuzione della ricchezza e i dati della Banca d’Italia dicono che grosso modo il 20% della popolazione possiede l’80% della ricchezza. Il problema, dunque, è che c’è ancora troppa rendita nel nostro Paese. In una situazione di questo genere si potrebbe anche immaginare un’imposizione fiscale non punitiva, ma ragionevole, l’1%, sulle grandi rendite.

L’Istat evidenzia il contributo importante dell’Assegno unico universale per i figli nel calo del rischio povertà e spiega che tramite la sua introduzione la spesa sociale per il sostegno dei carichi familiari nel 2022 è aumentata del 139% rispetto all’anno precedente. Cosa ne pensa?

È sicuramente un bene, ma vanno dette due cose. La prima è che quando è stato introdotto l’Assegno unico è mancata un’adeguata clausola di salvaguardia, visto che il 9,6% della famiglie ha subito una perdita rispetto ai vecchi assegni familiari e il 5,1% ha mantenuto livelli pressoché identici. Sarebbe stato sicuramente meglio se nessuno ci avesse perso o persino se tutti, e non solo una pur consistente maggioranza (85,3%), ci avessero guadagnato.

Qual è, invece, la seconda cosa che vuole evidenziare rispetto all’Assegno unico?

Mi pare che una politica seriamente orientata alla famiglia e ai figli minori debba ancora decollare. Servono anche servizi, non solo risorse: basta pensare all’insufficienza di posti negli asili nido. Dunque, quello che è stato fatto è senz’altro un bene, ma non stiamo ancora parlando di una genuina attenzione al patrimonio del futuro, i bambini. Il che, purtroppo, rappresenta anche un freno allo sviluppo.

(Lorenzo Torrisi)

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