La guerra energetica è in atto, ma nessuno in Italia lo dichiara apertamente. Il nostro Paese in quest’estate torrida sembra aggrapparsi alle certezze: Eni qualcosa s’inventerà, del resto dagli anni 50 del secolo scorso ci siamo abituati bene.
Questa volta però, complici politiche miopi, ed una totale mancanza di visone strategica dal 1992 in poi, ci aspettano tempi complicati, non chiari ancora a larghi strati della popolazione.
La Russia (con Gazprom) sta iniziando a tagliare il gas (ufficialmente per manutenzione) all’Europa.
L’ energia azzurra si ferma, dall’11 al 21 luglio entrambe le stringhe del Nord Stream verranno bloccate completamente per attuare “test di componenti meccanici” e realizzare “sistemi di automazione”: i problemi deriverebbero dal malfunzionamento di una turbina. La Germania trema, perché con lo stoccaggio fermo al 61% servirà un piano ad hoc per arrivare alla quota di sicurezza, ovvero il 90%.
Non è escluso che la Germania rimetta in funzione le centrali a carbone: il rischio è di chiudere interi settori strategici, in primis la lavorazione dei metalli, poi l’industria chimica e della carta. Altro pugno nello stomaco per la Germania arriva dal blocco del petrolio russo, fonte di lavoro per la ex Germania dell’Est, che rischia una perdita notevole di posti di lavoro. Non poche le proteste proprio nell’ex Ddr.
L’Italia per ora è messa meglio, la fornitura è ridotta del 15%. “I prezzi aumenteranno perché il mercato del gas è speculativo e ci sarà una ulteriore corsa all’accaparramento”, commentano dal ministero dell’Economia (non sarebbe il caso di ripristinare un ministero dedicato all’Industria?).
Il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, ha dichiarato: “accumulare gas è una corsa contro il tempo perché con la guerra in Ucraina la Russia sta chiudendo i rubinetti e l’inverno non è lontano”. La domanda è: se siamo al 66% di stoccaggio sul 90% come soglia di sicurezza, possiamo dormire tranquilli (e al caldo) nel caso in cui la Russia sospendesse del tutto i flussi di gas?
Il nostro Paese “subirebbe meno di altri Paesi europei, anche se comunque avremmo un inverno difficile e francamente nessuno vuole applicare misure restrittive”, ha sottolineato Cingolani. “Un conto è dire abbassiamo la temperatura del riscaldamento di un grado, o dire per qualche mese andiamo avanti con le centrali a carbone, perché intanto risparmiamo gas transitoriamente. Un altro conto è dire dobbiamo interrompere le attività”.
Interrompere le attività sarebbe deleterio, la spina dorsale industriale del Paese verrebbe messa in forte pressione e i privati dovrebbero affrontare sacrifici non semplici; con i prezzi alle stelle molti sarebbero costretti a chiudere.
Eni cosa può fare? Diversificare il più possibile e recuperare qualsiasi fonte esterna (perché in Adriatico non estraiamo gas anche noi invece di lasciare terreno alla Croazia?) nel Mediterraneo, in primis in Libia, dove va ripreso il controllo del territorio in cui sorgono i nostri impianti. La Libia è stato un teatro in cui governi timidi hanno evitato di fare scelte coraggiose lasciandoci nell’incertezza energetica e oggi ne paghiamo un prezzo enorme. Eni ha una joint venture con Gazprom e deve giocarsela fino in fondo, anche se Mosca potrebbe nazionalizzare da un momento all’altro i nostri impianti in Russia.
Serve urgentemente un piano energetico chiaro (che non escluda nulla, neanche il nucleare), in attesa del progetto Eni (con il Mit) di fusione a condizionamento magnetico che potrebbe garantirci un futuro da potenza energetica, quel sogno che persone come Enrico Mattei cercarono di realizzare e che oggi appare più che mai doveroso. C’è in gioco il futuro stesso dell’Italia.
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