Un miliardo di euro al giorno. È quanto dal 24 febbraio, inizio dell’invasione in Ucraina, i paesi Ue pagano in media a Putin per avere le risorse energetiche russe: gas, petrolio e carbone.

E da giorni si prospetta l’idea che presto, per ragioni etiche (“Capite bene che stiamo indirettamente finanziando la guerra” ha dichiarato il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani), si potrà arrivare a sanzionare Mosca con l’interruzione delle forniture di gas. Ma in Europa non sono tutti d’accordo, come ha ammesso lo stesso Alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la sicurezza, Josep Borrell: mentre l’Italia ha più volte ribadito che accetterà ogni decisione che Bruxelles vorrà adottare, Germania, Austria e Ungheria non hanno nascosto la loro contrarietà.



Ma quanto costerà abbandonare il gas russo? Quali problemi arrecherà a famiglie e imprese? E cosa potrebbe succedere se Italia e Germania dovessero assumere due decisioni opposte? Ne abbiamo parlato con Roberto Bianchini, partner Ref Ricerche e direttore dell’Osservatorio Climate Finance del Politecnico di Milano, secondo il quale sostituire il gas russo non sarà facile né immediato, anzi costerà di più e ci potrebbe costringere, già dal prossimo inverno, ad adottare misure emergenziali come ridurre l’illuminazione pubblica, abbassare la temperatura nelle abitazioni e riprogrammare i cicli produttivi delle imprese.



C’è chi si aspetta già a maggio lo stop al gas russo. Quanta autonomia avrebbe l’Italia?

È un dato molto complesso da stimare puntualmente. Visto che la domanda di gas ha una stagionalità molto forte, più bassa nei mesi estivi e più alta in inverno, tutto dipende da quanto stoccaggio c’è nel momento in cui si vuole calcolare l’autonomia e da quanto vengono utilizzate le infrastrutture di importazione alternative, dal Nord Europa, dall’Algeria o dall’Azerbaijan.

In questo momento quanto stoccaggio abbiamo?

Non è moltissimo. Lo stoccaggio è un servizio che viene erogato dagli operatori privati, che in estate comprano gas quando normalmente costa meno e lo rivendono in stoccaggio in inverno. Ma nella situazione attuale, in cui le quotazioni del gas sono molto elevate, comprare e stoccare gas è un’operazione molto rischiosa, perché il prossimo inverno il prezzo potrebbe non essere più alto di quello attuale. Arera, l’Autorità per la regolazione di energia, reti e ambiente, ha così cambiato da poco le regole, introducendo modifiche per cercare di compensare eventuali differenziali negativi. E siccome questo è il periodo, fino a settembre, di riempimento degli stoccaggi, bisognerà vedere come andranno le prossime aste.



E le infrastrutture di importazione alternative?

Non sono al momento utilizzate al 100%, perché sono ancora in essere dei contratti di approvvigionamento a lungo termine che non prevedono il massimo utilizzo possibile.

Questo spiega la corsa agli accordi di queste settimane in Algeria, Angola, Congo e Mozambico?

In queste missioni si è cercato di incrementare la capacità contrattuale più che la capacità fisica. In sostanza, si sta cercando di definire quale possa essere la massima capacità di importazione consentita dai contratti in vigore.

Perché non si sono sfruttati questi approvvigionamenti al 100%?

Dopo la crisi Lehman Brothers del 2008, la domanda di gas è crollata e quindi sono stati rinegoziati quei contratti “take or pay” che obbligavano a ritirare tutte le quantità di gas o a pagarle. Così è stato abbassato il livello minimo obbligatorio di prelievo per evitare di dover pagare del gas poi inutilizzato. Oggi siamo alle prese con il problema inverso: dobbiamo incrementare le quantità estraibili.

Ciò significa che questi paesi dell’Africa non sono ancora pronti a fornire tutto il gas in sovrappiù che stiamo rinegoziando?

L’Algeria è parzialmente già pronta, sta sviluppando nuovi giacimenti, ma il grosso degli approvvigionamenti non arriverà prima del 2023. In Congo, Angola e Mozambico invece si parla di giacimenti di gas, ma di importazione in forma liquefatta, trasportato su navi. La capacità estrattiva ovviamente non manca, ma anche in questo caso sarà gas che avremo a disposizione solo nel 2023, non certo il prossimo inverno.

Ricapitolando?

In caso di interruzioni di forniture dalla Russia, si cercherà di massimizzare il più possibile i contratti esistenti, ma dovremo inevitabilmente intervenire per ridurre la domanda.

In pratica, non potendo certo sostituire tutto il gas russo, andremo incontro a uno scenario di sofferenza, se non di emergenza, per illuminazione pubblica, riscaldamento degli immobili, distacchi temporanei per l’industria?

È possibile che il prossimo inverno, in caso di interruzione prima del periodo degli stoccaggi, si renda necessario adottare misure emergenziali per tagliare la domanda di gas: ridurre l’illuminazione pubblica, visto che il 50% dell’elettricità viene prodotto proprio con il gas; abbassare di un grado il riscaldamento delle abitazioni; riprogrammare i cicli produttivi delle imprese.

Potremmo davvero liberarci della dipendenza da Mosca in 18 mesi, come auspica il ministro Cingolani, diventando così indipendenti?

Premesso che nel brevissimo termine potremmo sostituirne al massimo una quota pari a 10 miliardi di metri cubi, la prospettiva dei 18 mesi è molto sfidante. Potremmo magari riuscirci in 24-30 mesi, a patto che tutti i tasselli vadano al loro posto.

Val la pena guardare al gas liquefatto?

La rinegoziazione dei contratti di gas liquefatto è oggetto di serrata concorrenza, soprattutto dall’Asia. Ed è un gas che costa molto.

Insomma, dovessimo sostituire parte del gas russo con queste forniture pagheremmo una bolletta energetica più salata?

Sì, la diversificazione porterà a un incremento di spesa, perché il gas russo è il più economico: ha i costi di estrazione più bassi e i contratti sono stati firmati quando sul mercato c’era sovrabbondanza di offerta. E oggi che tutti sono alla ricerca di gas penso che anche i contratti con l’Algeria avranno prezzi più elevati di quello russo.

L’Italia può contare su cinque gasdotti, che portano gas da nord, da sud e da est. Dell’Africa abbiamo detto e visto che da Norvegia e Olanda non possiamo aspettarci granché, un’altra buona carta in mano sarà l’Azerbaijan?

Le forniture azere possono potenzialmente essere incrementate di qualche miliardo di metri cubi e stiamo certamente parlando di un gas competitivo dal punto di vista economico, ma bisogna, da un lato, rinegoziare gli accordi take or pay e, dall’altro, tenere conto del fatto che l’Azerbaijan ha rapporti strettissimi con Mosca: sarà quindi disposto a fornirci tutto il gas necessario per sostituire quello russo?

Non ci sono altre soluzioni?

Una ottimale ci sarebbe ed è quella del nuovo gasdotto proveniente dalle acque territoriali antistanti Israele e Cipro, dove è stato scoperto un giacimento immenso e a prezzi abbastanza competitivi. È un progetto già autorizzato, ma di medio termine, per realizzarlo servono almeno 5-7 anni. È stato un errore bloccarlo alcuni anni fa.

In caso di carenze di gas dalla Russia vanno potenziati i rigassificatori: siamo pronti? E se non lo siamo ancora, cosa dobbiamo fare?

Oggi ne abbiamo tre e andrebbero utilizzati alla massima capacità. Il problema è che bisogna approvvigionarsi di gas liquefatto: va trovato e poi va pagato a un prezzo elevato. In più, si sta cercando di acquistare due rigassificatori mobili, ossia due navi che rigassificano al largo. I porti per accoglierli ci sarebbero, come Ravenna, il guaio è che è difficile trovare queste navi, perché in giro per il mondo non ce ne sono tante e adesso le stanno cercando tutti.

Sull’embargo al gas russo Italia ed Europa sono sulla stessa linea?

No. La Germania, per esempio, è su posizioni molto meno dure.

Se l’Italia dovesse interrompe le forniture dalla Russia e la Germania invece no, che cosa dobbiamo aspettarci?

È difficile quantificare un impatto economico legato a un eventuale sfilarsi della Germania. Mi aspetto però che da Bruxelles, dove sanno benissimo che l’embargo del gas russo produrrà effetti diversi da paese a paese, si provveda a fornire supporti economici differenti, commisurati ai danni subìti e tali da coprire le sofferenze economiche che potranno patire imprese e famiglie.

Secondo lei, il prezzo del gas aumenterà ancora?

Dopo 10 anni di mercato in oversupply, cioè con abbondanza d’offerta, e con quotazioni stabili e basse – situazione comunque inusuale, perché i mercati dell’energia sono caratterizzati da notevole volatilità –, i prezzi di energia e elettrica e gas sono destinati a rimanere più elevati per un periodo non certo breve.

(Marco Biscella)

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