Tra Russia e Unione Europea è guerra del gas. Gazprom ha sospeso le forniture a Polonia e Bulgaria, una decisione che ha fatto aumentare il prezzo del metano, tornato in area 120 euro. E se la Bulgaria ha fatto sapere di avere riserve sufficienti per un altro mese, risposte più dure sono arrivate dalla Polonia, che ha minacciato di ricorrere contro quella che considera una violazione degli accordi a suo tempo assunti, e da Bruxelles, dove Ursula von der Leyen ha promesso che l’Europa non cederà ai “ricatti di Mosca” e che “la risposta sarà immediata, unita e coordinata”, mentre la presidente del Parlamento Ue, Roberta Metsola, su Twitter ha affermato: “Il Parlamento europeo chiede l’immediato embargo paneuropeo sulle forniture energetiche controllate dal Cremlino”.



Quanto all’Italia, invece, dalla Snam è arrivata la conferma che “i flussi di gas dalla Russia in entrata dal Tarvisio sono regolari”. Ma per non finanziare oltre la guerra di Putin, a breve l’Europa potrebbe decidere un embargo del gas russo, nonostante l’opposizione di alcuni Paesi, Germania in testa. “Embargo vuol dire razionamento dei consumi – commenta Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia – e il razionamento è una prospettiva bruttissima, che va comunque organizzata per capire bene come e dove tagliare le forniture”. Alternative? “Puntare sul gas dall’Africa non è realistico, almeno per il prossimo autunno-inverno, perché per avere quel gas servono tempo e investimenti”.



Dopo la decisione di Gazprom di bloccare le forniture a Polonia e Bulgaria, a maggio potrebbe davvero scattare un embargo europeo del gas russo?

Che a breve possa scattare un embargo del gas russo è un’ipotesi poco probabile, ma dopo l’invasione dell’Ucraina non è da escludere che possa capitare di tutto. Niente è del tutto improbabile: la cosa peggiore che potesse accadere all’Europa è accaduta il 24 febbraio. Ora si stanno prendendo in considerazione delle azioni e l’embargo potrebbe essere una di quelle.

Dovessero però verificarsi delle interruzioni di fornitura dalla Russia a quali seri problemi andrebbe incontro l’Italia?



È chiaro che un embargo sarebbe totale, perché non è immaginabile che avvenga su delle quote. Si bloccherebbe tutto e in tal caso l’unica alternativa sarebbe quella del razionamento, perché al momento non abbiamo abbastanza gas negli stoccaggi per affrontare il prossimo inverno. Embargo vuol dire razionamento.

E in concreto che cosa vuol dire?

Vuol dire razionare il gas anche alle grandi industrie, che quindi saranno costrette a chiudere, e smettere di dare gas alle centrali elettriche, che quindi non potrebbero più produrre l’energia elettrica di cui hanno bisogno famiglie e imprese. Il razionamento è una prospettiva bruttissima. Non si sa neanche come potrebbe essere messo in atto.

Perché?

Ministero e Autorità dell’energia stanno lavorando per mettere insieme un’ipotesi di razionamento. È un’ipotesi estrema, non se ne parla, ma va organizzata, per capire bene come e dove tagliare le forniture.

Il Gnl può essere un’alternativa valida?

Negli Usa un Mwh costa 15 euro e con la liquefazione arriva a superare i 20 euro. Ma oggi, siccome non ne abbiamo e quando arriva e viene buttato in rete diventa gas normale, lo compriamo a 95. Siamo in shock energetico. E per le società di trading americane è un bel guadagno.

Dall’Algeria al Mozambico il governo italiano è impegnato in una corsa a trovare forniture alternative al gas russo. Sono davvero realistiche? E in quanto tempo saranno effettivamente disponibili?

Non è certo realistico puntare su queste risorse entro il prossimo autunno-inverno, che sarà il vero periodo critico.

Slittiamo al 2023?

Queste soluzioni richiedono non uno, due o tre anni, ma almeno 4 o 5. In giro per il mondo di gas, ai prezzi che paghiamo oggi in Europa, ce n’è parecchio. Il problema sono i tempi.

Che cosa impedisce di avere tutto questo gas a disposizione?

Scavare per chilometri sotto terra o anche solo in mezzo all’Adriatico – che sarebbe la soluzione più veloce, se solo avessimo i permessi – non è cosa che si fa in quattro e quattr’otto. Così come costruire una nuova piattaforma, che necessita di una gran quantità di acciaio, tra l’altro oggi non così facile da reperire sui mercati…

Ma dall’Algeria è già attivo un gasdotto…

In Algeria sono 30 anni che non fanno più investimenti in ricerca. I nuovi giacimenti vanno cercati di nuovo, e non è un’operazione semplice. Pensi solo all’ecografia del sottosuolo: bisogna scandagliare centinaia di chilometri quadrati di deserto, e ci vogliono dei mesi. Poi le ecografie vanno processate, e serve altro tempo. Quindi bisogna scavare il buco, fare dei test…

E dall’Angola o dal Congo o dal Mozambico?

Il gas che dobbiamo importare da lontano richiede infrastrutture molto complesse e molto costose, che appunto richiedono anni. E poi servono navi e rigassificatori. Non dimentichiamoci che in Italia ormai non si riesce a fare più niente.

A proposito di tempi e di lacci e laccioli della burocrazia italiana, il ministero della Transizione ecologica ha approvato il Pitesai, il piano che individua le aree idonee all’estrazione di idrocarburi, dopo la moratoria del 2019. Potrà tornare utile per trivellare e trovare nuovo gas nazionale?

Dovrebbe essere utile.

Perché usa il condizionale?

L’intenzione era quella di raddoppiare la produzione nazionale, ma in realtà il Pitesai nasconde una complicazione tale che di fatto non farà alto che rallentare e soffocare questa produzione. Il Pitesai è il risultato di un forte conflitto a livello politico fra le forze che sono state elette per realizzare la transizione energetica chiudendo le trivelle e le forze che chiedono di poter fare di più per non dover dare soldi a Putin.

Di gas russo ce n’è tantissimo e a prezzi competitivi. Un giorno, si spera il più in fretta possibile, la guerra in Ucraina finirà. Secondo lei, un eventuale embargo da Mosca significherà dire addio per sempre al gas russo o ci saranno ancora possibilità, e a quali condizioni di riallacciare rapporti e contratti con la Russia?

Domanda difficile. Risponderei così: credo che di gas naturale ci sarà sempre bisogno. Quindi, prima o poi, la Russia tornerà in Europa con il suo gas. Ma finché ci sarà Putin il distacco sarà totale. E questa è una tragedia, anche per la Russia stessa, che non può non esportare il suo gas.

Il prezzo del gas salirà ancora?

Le previsioni sulle materie prime sono difficilissime, soprattutto quando c’è una guerra di mezzo. In questi giorni, un anno fa, il gas costava 17 euro, è salito fino a 180 euro e oggi si compra sopra 100. L’ipotesi più accreditata è che il prezzo resterà ancora straordinariamente alto.

(Marco Biscella)

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