Il presidente del Consiglio Conte ha relazionato ieri in Senato sul Consiglio europeo, vantando un risultato storico. Promette riforme, ma saranno quelle che vuole l’Europa, perché l’Italia, paese sorvegliato speciale, è più imbrigliata di prima.
La strada tracciata “è l’unico percorso possibile per preservare l’integrità del mercato unico e la stabilità stessa dell’unione monetaria”, ha detto il capo del Governo.
Ad Antonio Pilati, ex commissario dell’AgCom, già presidente della Fondazione Rosselli, saggista, abbiamo chiesto quale sarà per l’Italia il prezzo politico delle nuove condizionalità previste dal Recovery Fund e come funzionerà. “È un super-Mes” ammette subito Pilati.
Una nuova versione della troika?
La troika diceva che cosa bisogna fare. La Commissione ci dirà che cosa non possiamo fare. Per esclusione rimarrà solo quello che vogliono che noi facciamo. Non saranno ordini diretti, ma ordini, diciamo così, per fatti concludenti.
Veniamo subito al dunque. Non solo i prestiti, anche le sovvenzioni andranno restituite.
Questo governo, con le sue politiche, sta incrementando il debito. Per restituirlo sarà difficile evitare la patrimoniale, perché nell’attuale sistema europeo non riusciamo a crescere.
Qual è il risultato di quattro giorni di Consiglio europeo?
C’è stato un modesto passo in direzione della mutualizzazione del debito. Il vero fatto saliente è che l’Italia sarà costretta a muoversi entro binari molto stretti. I controlli della Commissione saranno stringenti, sia sui contenuti sia sui tempi della nostra azione.
C’è del metodo in tutto questo?
Certo. Secondo i partner europei, l’Italia ha una classe politica inaffidabile, dall’opposizione alla maggioranza. Infatti non mi pare che il governo incontri l’entusiasmo dei partner.
Dunque non faremo le riforme che vogliamo, ma quelle che l’Europa decide per noi.
È inevitabile. Questo Consiglio europeo è il trionfo del vincolo esterno. Ma c’è una novità.
Quale?
È dal 1981, dal divorzio Tesoro-Bankitalia voluto da Andreatta – il Tesoro emetteva i titoli di Stato e la Banca d’Italia acquisiva l’eventuale quota non assorbita dal mercato – che il vincolo esterno è stato immaginato dalle nostre classi dirigenti come un bene per l’Italia. Oggi siamo sicuri che sia così? O dobbiamo chiederci se piuttosto non risponda in primo luogo agli interessi di altri paesi?
Dove starebbe la novità?
La situazione dell’Italia e le condizioni della Commissione, cioè gli stretti binari europei sui quali ci troveremo a viaggiare molto presto, renderanno il problema sempre più evidente e le risposte ineludibili.
Quali sono gli “interessi degli altri paesi” che ha citato?
Il fatto di darci un margine di manovra molto ristretto dice che le riforme che noi faremo non saranno utili all’Italia per tornare a crescere, ma ai paesi leader dell’Ue, Germania e Francia, per tenere in piedi la costruzione europea.
Un esempio?
Siamo un paese a elevato risparmio privato e sarebbe nostro interesse trovare il modo di utilizzarlo per rilanciare gli investimenti. Ma l’interesse dei paesi leader europei è piuttosto quello di riportare il debito pubblico italiano dentro parametri per loro rassicuranti. Come? Con la leva fiscale: caricando imposte sul risparmio privato per riequilibrare il debito pubblico. Come si vede, sono interessi divergenti.
Che cosa potrebbe darci più peso politico?
Tornare a crescere. È la mancata crescita ad avere drammatizzato il problema del debito.
Lei ha detto che il governo Conte non incontra l’entusiasmo dei partner europei. Perché?
Perché con lui l’Italia non cresce. Questo governo non fa l’interesse dell’Italia perché non rilancia gli investimenti, ma nemmeno fa quello dell’Unione, perché non mette le basi di una stabilizzazione fiscale. Spende tutto in bonus.
Allora a quali interessi risponde?
Ai propri: quelli di una classe politica miope che pensa di conquistarsi i voti con bonus e sovvenzioni a pioggia.
Non sarebbe interesse dell’Europa costruire un’alternativa a questo governo? Basterebbe telefonare al Colle.
La prima preoccupazione dei leader europei è che l’Italia non deragli. Importa molto meno chi guida il convoglio. Va bene anche un altro governo, purché agisca e non sia troppo difforme dal quadro politico che prevale in Europa.
Dunque per Bruxelles l’importante è che il Pd sia nella maggioranza di governo.
Tuttavia in questa fase è il Movimento 5 Stelle che dà l’impronta alla politica molto più del Pd.
Sicuro?
Che cosa ha attuato il Pd del suo programma politico? Quasi niente. I 5 Stelle invece hanno mantenuto il reddito di cittadinanza, la riforma della prescrizione, stanno facendo una finta riforma del Csm, hanno moltiplicato i bonus e trascurato gli interessi di chi produce.
Il Pd vorrebbe assorbire i 5 Stelle: ce la farà?
Vorrebbe, ma di fatto si trova sempre a rimorchio di M5s. L’ipotesi di un’alleanza alle regionali non è andata in porto. Il loro resta un contratto, non è una coalizione politica.
Berlusconi, lo stesso Conte, Renzi, Calenda e altri guardano tutti al centro. Quest’area potrebbe essere il perno di un nuovo governo di unità nazionale o di una soluzione alternativa a Conte?
A parte il problema dei numeri, non vedo un progetto coinvolgente e condiviso su cui possa nascere una tale coalizione.
Questo cosa comporta?
Che l’Italia rimane un sorvegliato speciale. Da tenere rigidamente sui binari, con molta moral suasion, con le condizionalità dei fondi europei, e se occorre con qualche colpo un po’ più duro.
Un colpo più duro con l’aiuto di chi?
L’Italia ha una classe dirigente disattenta agli interessi nazionali, preoccupata di vantaggi immediati piccoli e personali. Però è questa classe dirigente che segna la continuità del potere e ci rappresenta all’estero, soprattutto con la Ue.
Siamo ancora uno Stato?
Sì ma molto debole: poco efficace sul piano interno, sempre meno rilevante sul piano internazionale.
(Federico Ferraù)