L’ultimo episodio è la spia di una situazione complicata. Una lettera polemica, con cui Giorgia Meloni ha deciso da Pechino di rintuzzare le accuse europee sulla libertà d’informazione. “Fake news contro il Governo”, si è lamentata, negando ingerenze politiche sulla Rai. Sembra la spia di una “sindrome d’assedio”, che pervade palazzo Chigi, e non può non preoccupare il Quirinale.
Non serve avere fonti particolarmente qualificate per affermare che il capo dello Stato avrebbe di gran lunga preferito che la Premier avesse votato a favore di Ursula von der Leyen, tanto nel Consiglio europeo che l’ha designata per il bis, a fine giugno, quanto nel voto al Parlamento di Strasburgo del 18 luglio scorso. La prospettiva di un sostanziale isolamento in Europa non può essere certo entusiasmante per un europeista come Mattarella che ogni volta che ha potuto ha provato a supportare un Governo che di sicuro non può amare, in nome del superiore interesse nazionale. Un esempio su tutti: la paziente opera di ricucitura fra Meloni e Macron, ogni volta che i due sono finiti in rotta di collisione. Cioè spesso.
Pazienza, la frittata è fatta. E ancora una volta bisogna prestarsi a ricostruire. Mattarella lo farà prossimamente, ad esempio quando a fine settembre sarà in visita ufficiale in Germania e incontrerà il Presidente tedesco Steinmeier, con cui ha uno stretto rapporto personale. E forse qualche parola è riuscito a dirla anche a Macron, a margine dell’inaugurazione dei Giochi Olimpici di Parigi. Il grosso del lavoro ricade però sulle spalle di Giorgia Meloni, e non sarà un’impresa semplice.
Mattarella, tanto per essere chiari, non è affatto convinto che la tattica della semplice rivendicazione di un ruolo importante nell’ambito della Commissione von der Leyen bis sia produttiva. Chiamarsi fuori dai giochi nell’emiciclo dell’Europarlamento e reclamare un posto esclusivamente sulla base del peso specifico di Paese fondatore e di terza economia comunitaria non garantisce di per sé un risultato. Certo, dietro la posizione assunta dalla Premier ci sono ragioni politiche, ma molto di politica interna, e poco di visione europea. Meloni ha votato contro Von der Leyen per non farsi scavalcare da Salvini. Ma adesso? Cosa può offrire alla Presidente della Commissione europea, con cui pareva aver costruito un rapporto solido, tanto dal punto di vista politico che da quello personale? Quel tesoretto di credibilità sembra essersi dissolto, e appare difficile opporsi alla spietata logica “taglia fuori” messa in campo da Macron e Scholz, con la fattiva collaborazione del polacco Tusk e dello spagnolo Sanchez, che non vedevano l’ora di scavalcare l’Italia.
Il prossimo appuntamento è la composizione della Commissione europea, e da lì si capirà molto. Gli stati hanno tempo sino al 30 agosto per indicare il proprio candidato Commissario. Dal nome comunicato a Bruxelles si evincerà se le trattative che saranno condotte a distanza, sotto l’ombrellone, avranno consentito a Meloni di rientrare parzialmente nel gioco, oppure no. Il candidato numero uno rimane Raffaele Fitto. Essendo però l’uomo che sin qui ha garantito all’Italia di restare abbastanza al passo con le scadenze del Pnrr, la Premier deciderà di privarsene solo in cambio di un portafoglio economico significativo (non la scatola vuota di Gentiloni, per capirci), accompagnato dal rango di vicepresidente. Qualora il nome fosse diverso (in primis la “tappabuchi” di lusso Elisabetta Belloni), vorrebbe dire che il mercato delle poltrone è andato male, e all’Italia è toccato soltanto uno strapuntino dallo scarso peso politico. Vorrebbe dire, per di più, che non ci sono sufficienti garanzie rispetto a una possibile bocciatura a Strasburgo, dove ogni commissario deve presentarsi per essere riconfermato. Il fantasma di Rocco Buttiglione, per capirci, impallinato senza pietà dopo una feroce audizione parlamentare. Correva l’anno 2004.
Vorrebbe anche dire che il rapporto con Bruxelles sarà terribilmente in salita. E con una procedura per deficit eccessivo aperta e il ritorno al rigore di bilancio alle viste uno scontro frontale con la burocrazia europea il nostro Paese ha davvero molto da perdere. a cominciare dalle rate rimanenti del Pnrr. Il confronto con l’Europa ha molti piani. E praticamente su tutti l’Italia ha qualcosa da perdere.
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