L’intenzione annunciata da Matteo Renzi di sciogliere Italia Viva in una formazione liberaldemocratica di dimensione europea non giunge inattesa, né appare estemporanea. Sembra invece confermare la funzione di “safety car” squisitamente politica – oltreché tecnica – assunta del nuovo Governo. Fra le missioni di Mario Draghi – una specie di Charles De Gaulle italiano sessant’anni dopo la transizione francese dalla Quarta alla Quinta Repubblica – c’è anche quella di stimolare una ricomposizione dello schieramento partitico nazionale in vista del prossimo “gran premio” elettorale. Si svolga esso nel 2022, dopo l’elezione del Presidente della Repubblica, oppure nel 2023, alla scadenza naturale della legislatura.
È stata l’Europa a neutralizzare – con un mix di pressioni istituzionali e tecnocratiche – entrambe le forze politiche italiane vincenti all’ultimo voto: prima la Lega (molto più temibile per struttura e costituency nel Nord) e poi M5S, assai meno consistente e forse perfino utile nella premiership debole di Giuseppe Conte. Ora la stessa Unione sollecita l’Italia a ri-normalizzare non solo i suoi parametri economico-finanziari attraverso il passaggio Recovery, ma anche il suo quadro politico. È un “compito a casa” che l’Ue sta assegnando nel dopo-Brexit a numerosi Paesi membri: basti pensare a Polonia e Ungheria. Nel frattempo le istituzioni centrali di Bruxelles sono oggetto di critiche sempre più accese per la gestione dell’emergenza-Covid. Né si può dimenticare che già un anno fa – alla vigilia della pandemia – Germania e Francia avevano promosso un biennio di “tagliando strutturale” alla governance dell’eurozona. Il Covid e il Recovery Plan non ne hanno superato l’esigenza, semmai l’ingresso dell’ex presidente italiano della Bce nel Consiglio dei Capi di Stato e di governo Ue pare confermare l’attualità di qualche sorta di “concilio” per l’Europa post-Maastricht.
La matrice entro cui le forze politiche italiane sono chiamate a rinnovare le loro carte d’identità appare comunque chiara: è quella già in gran parte disegnata dall’emiciclo dell’europarlamento. A Strasburgo la “maggioranza legittimista” è tuttora formata da tre storici contenitori: popolari (Ppe), socialdemocratici (Pse) e liberaldemocratici (Alde oggi rimodellato in Renew Europe su impulso del Presidente francese Emmanuel Macron: è l’approdo designato di Iv). La presidenza del Parlamento eletto è stata finora alternata per prassi fra un esponente Pse (oggi è il “dem” italiano David Sassoli) e uno del Ppe (fra il 2017 e il 2019 è stato Antonio Tajani, di Fi). Dal 2019 è intanto una popolare tedesca, Ursula von der Leyen, la presidente della Commissione, scelta dai 27 capi di Stato e di governo (in maggioranza Ppe). È un socialista olandese, Frans Timmermans, il primo vicepresidente, responsabile di NextGenerationEu. È espressa da Alde la vicepresidente “senior” con delega all’Antitrust, la danese Margrethe Vestager. È un ex Premier di centrodestra – ma di una sigla affiliata al Ppe – il vicepresidente lettone Valdis Dombrovskis, con l’alta competenza sugli affari economici e monetari. È un ex premier Pd l’attuale commissario italiano Paolo Gentiloni (nominato in corsa nel 2019, dopo il ribaltone di governo che ha fra l’altro evitato il probabile esordio a Bruxelles di un commissario indicato dalla Lega).
A Strasburgo è ben identificabile anche l’opposizione, sulle due “estreme”. A destra c’è anzitutto Identità & Democrazia, al momento forte di tre sigle importanti nei tre principali Paesi Ue: la Lega italiana (il nucleo oggi più numeroso in ID); il francese Rassemblement National di Marine Le Pen; la tedesca Afd, forse la formazione più radicale sul terreno sovranista. Sul fronte euroscettico è distintamente presente Ecr (“Conservatori e Riformisti”) imperniato su Diritto & Giustizia, partito di maggioranza e di governo in Polonia, dopo l’uscita dei Tory britannici. Qui è oggi di casa anche la pattuglia di europarlamentari italiani Fdi , mentre la loro leader Giorgia Meloni è stata da poco chiamata alla presidenza del partito.
A sinistra della “maggioranza von der Leyen”, lo schieramento più forte è quello dei Verdi, tuttavia molto frammentato attorno al pattuglione tedesco e alla delegazione francese. L’Italia è virtualmente assente dal gruppo ecologista (salvo pochi indipendenti) così come da Gue-Ngl, il raggruppamento della residua sinistra storica. È sulla metà sinistra dell’emiciclo, d’altra parte, che vagano da due anni i 14 europarlamentari di M5S, primo partito italiano: mai accolti da nessun gruppo, almeno fino a quando – nel novembre scorso – quattro dissidenti hanno chiesto ospitalità autonoma presso i Verdi. Gli altri sono ancora in pourparler con il Pse, grazie all’interessamento del Pd dopo la nascita del Conte-2: ma per ora senza esiti formali. Lo sviluppo è stato comunque singolare per europarlamentari italiani i cui voti sono stati preziosi, nell’estate 2019, per la fiducia alla commissione von der Leyen. L’utile politico fu però incassato, allora, in Italia: con la conferma di Conte a premier di una coalizione trasformista in funzione anti-Lega. Ma oggi?
I “peones” grillini nel limbo a Strasburgo sembrano simboleggiare bene il dramma politico del partito a Roma. La radice ecologista di M5S ha prospettive di ritrovare autonomia e smalto, attraendo in Italia un elettorato verde non antagonista, allineato con i green emergenti in Europa? E il troncone “governista” del partito riuscirebbe nel frattempo a costruire un coalizione stabile con il Pd/Pse? Che i voti grillini fossero “voti Pd in libera uscita a sinistra” è da sempre il teorema di Massimo D’Alema e Pierluigi Bersani: molto prima che di Nicola Zingaretti e Goffredo Bettini, a ridosso del rinnovo dei sindaci di Roma, Milano, Napoli e Torino. Se comunque da M5S dovesse originare una scissione “verde” e un rassemblement con il Pd l’equazione europea, su questo quadrante politico, apparirebbe in qualche modo risolta.
E nel centrodestra? Qui il solo partito ad aver già superato gli esami pare Fdi: solido nella sua attuale opposizione “costituzionale”, sia in Italia che in Europa; riconoscibile nelle categorie politiche di Ue e Usa; non inutilizzabile in possibili formule di governo (Meloni – a differenza della Le Pen – ha ricoperto in passato incarichi ministeriali, esattamente come i Verdi in Germania, sono già entrati nelle stanze dei bottoni). Molto meno facile appare invece predire gli sviluppi nel comparto centrale della metà destra.
Chi si aggiudicherà – in Italia – l’eredità politica di Silvio Berlusconi? Questa include – in Europa – la preziosa tessera Ppe accordata da tempo a Forza Italia e invece finora negata alla Lega. Quest’ultima – in occasione della formazione del Governo Draghi – ha compiuto una visibile conversione europeista. Sarà sufficiente a fare del partito pilotato da Matteo Salvini l’infrastruttura portante di un nuova forza moderata italiana, consonante con i valori cristiano-democratici in Europa? E quali saranno le reazioni dei “democristiani” storici presenti nel Pd (da Dario Franceschini ad Enrico Letta)?
È su questo versante che la mossa di Renzi verso Renew Europe è parsa gettare un immediato guanto di sfida. Al posto di un partito “cristiano-democratico”, l’ex Premier ripropone la sua suggestione di “partito della Nazione” come fondamentalmente “liberal-democratico”. È naturale che (lo ha notato Stefano Folli) si ritrovi a fare conti immediati – al centro – con figure come Emma Bonino piuttosto che Carlo Calenda. È d’altronde palese che – al di là della sua rivalità personale con i leader “margheritini” del Pd – Renzi si rivolga già molti suoi ex colleghi “dem”: già apertamente perplessi della traiettoria di ritorno alle radici Ds-Rc-etc proposta da Zingaretti con la “grande coalizione” Pd-Leu-M5S. Soprattutto: è pacifico che Renzi conti su una delle meno banali “incoronazioni a successore” dichiarate da Silvio Berlusconi: quella a suo favore già ai tempi del primo “patto del Nazareno”.
La scommessa più ambiziosa – ma Renzi ne ha sempre fatto la sua arma strategica – resta però quella che riguarda il futuro della Lega stessa. Ritroveremo quest’ultima dentro o vicino al Ppe oppure a Renew Europe? Fi confluirà nella “nuova Lega” o nella “nuova Italia Viva”?
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