“L’epidemia è fuori controllo e siamo in una situazione forse peggiore della Germania, quindi bisogna intervenire con una stretta severa. Anche perché oggi la salute va salvaguardata più dell’economia: senza la salute anche l’economia non riparte”. Il virologo Fabrizio Pregliasco commenta così le voci che si rincorrono su un sempre più probabile e inevitabile lockdown nazionale, sul modello della Germania di Angela Merkel, che potrebbe partire già dal prossimo weekend del 19-20 dicembre, ad alto rischio per i movimenti programmati da milioni di italiani, e proseguire nei giorni festivi e prefestivi nel periodo che va da Natale all’Epifania. L’Italia, dunque, potrebbe diventare zona rossa o arancione dal 24 al 27 dicembre, dal 31 dicembre al 3 gennaio e il 5-6 gennaio. Secondo Pregliasco, l’obiettivo della nuova stretta anti-Covid dovrebbe essere quello di “far scendere i contagiati a quota 5mila al giorno con un indice Rt stabile e omogeneo a 0,6 su tutto il territorio italiano”.
Perché, a distanza di così poco tempo dal passaggio in zona gialla di quasi tutte le Regioni italiane, oggi il governo valuta una nuova stretta sul “modello Merkel”, con l’ipotesi di mettere tutta l’Italia in zona rossa dal 24 dicembre al 6 gennaio?
Anche se è difficile comparare la situazione nei due paesi, visto che la notifica dei casi e dei decessi in Germania è diversa da quella adottata in Italia, a fronte di una situazione più o meno comparabile o forse un pochino migliore della nostra, la decisione della Merkel ha messo in luce in modo macroscopicamente evidente come le persone che si accalcano una sull’altra per lo shopping lo facciano ormai “illegalmente”. E il meccanismo dei colori e delle mitigazioni non ci ha permesso di riprendere il controllo dell’epidemia.
Secondo il Cts, abbiamo ancora un’incidenza altissima – 193 casi per 100mila abitanti, quando la soglia a rischio è 50 -, il tracciamento è saltato da due mesi e il sistema sanitario è ancora sotto stress. Siamo dunque messi peggio dei tedeschi?
Forse sì. Noi oggi non abbiamo più il controllo della malattia, possiamo solo mitigarla, regolando il “rubinetto” delle possibilità di contatto per cercare di ridurre la velocità con cui le persone si ammalano, gestendo un po’ meglio gli sfortunati che incappano nelle forme più gravi del contagio.
Le misure adottate finora stanno dando risultati inferiori alle attese?
Stanno dando dei risultati, forse si sperava di ottenere qualcosa di più concreto, scendendo sotto i 10mila casi al giorno, anzi sotto i 5mila, il che ci permetterebbe di riprendere il controllo della malattia attraverso un tracciamento più efficace, che ora invece si è un po’ perso.
La scelta della Germania di un lockdown severissimo è l’unica strada praticabile?
Non c’è altro. Il vaccino arriverà tra un po’ e ci vorrà del tempo prima che faccia vedere i suoi effetti in funzione alla quota di persone vaccinate. Quindi si tratterà di avere vaccini in quantità sufficienti e soprattutto la voglia dei cittadini di vaccinarsi.
Si parla di probabile divieto di spostamenti, bar e negozi chiusi e coprifuoco alle 20: stringere ora i bulloni al massimo che effetti dovrebbe portare dal punto di vista epidemiologico?
Vedere una tendenza un po’ più pronunciata e stabile verso il miglioramento. Siamo in un plateau, in un altopiano, dopo aver segato il picco della montagna che poteva essere davvero esplosivo in termini quantitativi e per crescita esponenziale. Questo altopiano inizia a degradare, però non abbastanza, e il rischio che corriamo, con il lassismo dilagante, è far risalire repentinamente e bruscamente i casi.
Cosa si rischia in termini di indice Rt, contagi e ricoveri?
Spaventa tutto l’insieme, e il numero dei decessi, che è il vero effetto devastante, anche se ci stiamo anestetizzando: oggi c’è chi dice che ne abbiamo registrati solo 470… Comunque, non c’è un manuale bell’e pronto di gestione della pandemia, si procede per tentativi ed errori e nessun sistema ha fornito risultati del tutto soddisfacenti. Anche la Svezia, che ha lasciato correre il virus inseguendo un’immunità di gregge, adesso ha le terapie intensive piene al 99%.
Che cosa dobbiamo aspettarci dalla nuova stretta?
L’obiettivo è scendere a 5mila contagi al giorno e con un indice Rt consolidato e omogeneo a 0,6-0,7 su tutto il territorio.
Giusto che le misure restrittive valgano allo stesso modo per le grandi città come per i comuni più piccoli? Non sarebbe forse il caso di introdurre misure differenti, più elastiche?
Non è questione di elasticità, ma di responsabilità. Chiaro, poi, che fissare limiti di spostamento all’interno di un comune è una misura molto larga per le grandi città ad alta densità come Roma e Milano e diventa penalizzante per i piccoli comuni, perché c’è probabilmente una disparità di rischio nelle metropoli e dunque servirebbe una sorta di riequilibrio. Dobbiamo trovare delle modalità che costringano le persone, tentate di arrivare fino al limite consentito, a ridurre spostamenti e assembramenti, cioè i contatti. A volte, se non prevale il buon senso, serve farlo forzosamente.
Fanno paura gli assembramenti nelle grandi città per lo shopping natalizio, ma il Governo ha attivato il meccanismo del cashback proprio per incentivare gli acquisti nei negozi. Non è un po’ contraddittorio?
Di fatto si sperava che non ci fossero queste calche, tanto che si era anche parlato di orari più lunghi. Ma non è stato fatto.
Come dice il ministro Boccia, “in questo momento affari e salute non sono conciliabili”?
Purtroppo, in questo momento, è così, anche perché la salute fa l’economia. Se c’è paura, non si spende né si acquista.
Anche la Spagna inizierà le vaccinazioni a inizio gennaio. Non sarebbe il caso che anche l’Italia anticipasse la campagna vaccinale?
Dipende dalla disponibilità dei vaccini. Io spero che ci sia un V-Day europeo, che ponga rimedio anche alla fretta della Gran Bretagna, che ha voluto dimostrare, in virtù della Brexit, di saper fare più velocemente della Ue. In teoria Londra avrebbe dovuto seguire ancora le indicazioni dell’Ema.
L’immunità di gregge è ancora lontana?
Sì. Adesso saremo al 10% della popolazione colpita dal virus, serve raggiungere almeno il 70%. Anche con la vaccinazione, che pure non risolverà ogni cosa, ci vorrà tempo. Ma avremo sicuramente una convivenza con il Covid più civile.
(Marco Biscella)