“Il fenomeno dell’Italian Sounding, secondo dati Ambrosetti”, scrive Federico Robbe su alimentando.info, “vede in testa gli Stati Uniti con un business da 3,5 miliardi di euro, seguiti dalla Germania con 3,4 miliardi, dal Regno Unito con 2 miliardi, dalla Francia con 1,2 miliardi, dal Giappone con 532 milioni e altri”.
In questi mercati ci sarebbe dunque una distribuzione capillare di prodotti non italiani che si spacciano per eccellenze tricolori. Prendiamo l’arcinoto Parmesan, reo di sottrarre spazio al Parmigiano Reggiano e al Grana Padano. Nella categoria, in media, il formaggio Italian Sounding occupa il 61% degli scaffali, mentre i Dop e i “veri italiani” il 39%. Ma sono prodotti neanche lontanamente comparabili in termini di gusto e costi di produzione. Il Parmesan è più morbido, di dimensioni più piccole, meno stagionato e più economico delle nostre Dop. La materia prima è più a buon mercato e la lavorazione meno impegnativa, inoltre si abbattono i costi di trasporto. “Tanto è vero che proprio il fattore prezzo gioca un ruolo cruciale”, sottolinea sempre Robbe. “I prodotti Italian Sounding costano il 69% in meno in Regno Unito e Germania, il 65% in Belgio, il 64% nei Paesi Bassi e il 50% in Cina. Ma allora bisogna chiedersi: se le vendite di Parmesan dovessero essere soppiantate da quelle di Parmigiano o Grana Padano, quante vacche dovremmo mai allevare in Pianura Padana? Ancora una volta è impossibile fornire una risposta certa, ma è chiaro che la domanda globale è impossibile da soddisfare, almeno se restiamo sulle produzioni Dop. Ma anche allargando lo sguardo a tutto il comparto, va detto che l’industria italiana ha dei limiti in termini numerici, e anche elevati standard qualitativi e di prezzo. Morale: non riuscirà mai a intercettare la richiesta globale di made in Italy. Lo scenario non cambia granché se consideriamo il salame (58% quota Italian Sounding a scaffale), il Prosecco (58%), il prosciutto (59%) e l’olio extra-vergine di oliva (57%)”.
Questo per ribadire che lo stracciamento delle vesti di Prandini & Co (leggi Coldiretti) è fuori luogo. Siamo stanchi di chi grida “Al lupo, al lupo”.
Nel corso di questa estate stiamo assistendo a un rilancio turistico del nostro Paese. Frotte di stranieri si recano nei nostri angoli più belli e, oltre ad ammirare il panorama e le nostre bellezze artistiche, mangiano cibo italiano vero. Assaporandone odori e sapori. “Tu chiamale se vuoi, emozioni”, cantava l’indimenticabile Lucio Battisti. E saranno proprio queste emozioni che i vari monsieur Godard, herr Bose, mister Ford porteranno nei loro Paesi. Difficile pensare che si accontenteranno delle imitazioni. Cercheranno gli originali in maniera sistematica. Ed è proprio qui il punto. Sta alle nostre aziende riuscire a esportare sempre più prodotti per soddisfare questa voglia d’Italia sempre più dirompente.
Tempo fa mi trovavo a Bangkok per il Thaifex, la fiera dell’alimentare che si tiene lì ogni anno. Ebbene nella capitale della Thailandia ci sono 400 ristoranti italiani. Con ritmi di crescita impressionanti. “Chiude un francese, apre un italiano”: mi spiegava un giornalista locale.
Vale la pena aggiungere che anche i nostri produttori hanno utilizzato il “sounding”. E parliamo di Ferrero con i suoi “Mon Cheri”, “Kinder”, “Rocher”. Anche la Nutella prende il nome da nut (nocciola in inglese). Come non citare poi il Gran Soleil? Il sorbetto venduto fuori frigo ha però avuto vita breve. Dopo sei anni di “sperimentazione” è sparito dai punti vendita. Interessante un aneddoto a questo proposito. Un anno circa prima della sua cancellazione, i dirigenti di Ferrero indicono una riunione per capire le cause del deciso calo di vendite del sorbetto. All’ultimo arrivato in azienda il compito di mostrare, attraverso grafici e indagini di mercato, le scarse performance del Gran Soleil. Alla fatidica domanda, alla fine della presentazione: “Allora cosa consiglia di fare?'”, il povero tapino risponde: “Lo toglierei dal mercato”. Immediata la reazione di Michele Ferrero, fondatore dell’azienda, presente alla riunione: “Il Gran Soleil l’ho inventato io. Finché sarò presente in Ferrero, rimarrà fra i nostri prodotti di punta”. A un mese dalla sua scomparsa, il Gran Soleil viene ritirato dal commercio.
Ritornando all’Italian Sounding, mi ha fatto un po’ ridere la storia, rimbalzata sulle cronache alcuni anni fa, della pubblicità di un sito porno americano. Per sottolineare che il loro era “sesso di qualità” utilizzarono una metafora coinvolgendo il Parmigiano reggiano (“I nostri video premium sono esclusivi come il Parmigiano Reggiano”). Subito ci fu una levata di scudi da parte del Consorzio che ne chiese l’immediata rimozione dalla rete. Giusto: rimane il dato che il messaggio era un riconoscimento implicito al vero prodotto italiano. Per questo non solo l’avrei mantenuto in rete, ma addirittura lo avrei rilanciato. Il Parmigiano non sarà il Viagra, però…
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