Siamo in Inghilterra, nei primi anni ’80, e tre giovani ragazzi provenienti dalla provincia arrivano a Londra con aspirazioni lavorative molto diverse tra loro, ma con un bisogno in comune: scappare dalle famiglie che non riescono ad accettare la loro diversità sessuale.

Il più estroverso dei tre è Richie Tozer, interpretato da Olly Alexander, cantante solista degli Years & Years, che vuole fare l’attore e non l’avvocato, come pretende il padre. Poi c’è Roscoe, giovane di origini nigeriane, cacciato di casa e che gestisce un bar per omosessuali. E poi Colin, un ragazzo timido, che lavora come commesso in una sartoria, e che non riesce a confessare neanche a se stesso le sue preferenze sessuali.



Grazie alle amorevoli cure di Jill, ragazza di colore etero e anche lei aspirante attrice, i ragazzi vanno a vivere nella stessa casa, condividendo spese, ambizioni e segreti. Ma soprattutto per loro è un periodo di allegria e felicità. Quando incominciano ad arrivare le prime notizie del male che ha colpito la comunità gay in America, anche la piccola comunità di Pink Palace sottovaluta il problema e decide di non cambiare abitudini, continuando a fare la stessa vita di sempre. Poi incominciano a scomparire improvvisamente gli amici, senza dare notizie. Inizia il triste rito del “ritorno a casa”, dove trovano famiglie che vivono la malattia dei loro ragazzi come un’onta da nascondere. Così in dieci anni, uno a uno, i ragazzi dovranno affrontare la malattia e la dura esperienza del rapporto con un servizio sanitario (siamo in piena era Thatcher) che bollo l’Aids come la “malattia dei gay”.



La miniserie It’s a Sin è un piccolo capolavoro, al tempo stesso divertente e commovente, violenta e delicata, rivoluzionaria e conservatrice. La serie è stata realizzata da Russell T Davies, autore di Doctor Who, A Very English Scandal e Years & Years. I cinque episodi sono disponibili sulla piattaforma StarzPlay dal 1° giugno, e vanno visti senza pausa perché rappresentano – sulle note di It’s a Sin dei Pet Shop Boys – un lungo film senza soluzione di continuità.

Non vi è nessun paragone da fare con la situazione di oggi, ovviamente. E la diffusione del Hiv non ha neanche lontanamente correlazioni con quello che è successo con il Covid-19. Eppure, guardando questa serie non è possibile non riflettere sul comportamento delle persone di fronte a una malattia infettiva che non si conosce, che colpisce e uccide i propri simili apparentemente senza un motivo, senza riuscire a capire come e perché.



Ma l’Aids fu prima di tutto l’enorme flagello che colpì nel secolo scorso la comunità gay mondiale. Una comunità enorme e ben diffusa, che si svelò al mondo intero e che da quel momento decise che non aveva più senso continuare a nascondersi. Non è un caso che proprio quando si manifestò il virus – per i benpensanti inviato dall’alto per punire un peccato (come evoca il titolo) – ha inizio quel movimento di liberazione che ci ha condotto fino a oggi, dove i diritti e le libertà da riconoscere a queste persone, tra cui il diritto di non essere offese o molestate, è diventato uno dei principale temi politici su cui siamo chiamati a dire la nostra.

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