Si è accesa di nuovo la disputa sulla possibilità di concedere la cittadinanza ai figli degli immigrati stranieri nati in Italia e/o che hanno frequentato scuole italiane.

Sono stati quelli di Forza Italia a riaprire la questione, dicendosi disposti a discutere una soluzione del problema partendo dal fatto che molti, tanti ragazzi stranieri, frequentano le nostre scuole. In certe zone di Milano, ad esempio, questi ragazzi sono una maggioranza, a volte anche schiacciante, rispetto a quelli che sono già italiani.



Non tutti conoscono i problemi che così si ritrovano ad affrontare molti insegnanti, soprattutto quando nelle prime classi ci sono bambini provenienti da diversi Paesi per lingua e tradizioni. Poi crescendo, a poco a poco, questi ragazzini, per lo più molto svegli, imparano la lingua senza problemi. Quanto alle tradizioni invece non è sempre facile l’integrazione, e non solo con chi è già italiano. Così può accadere, e accade, che si creino bande di sudamericani, musulmani di varie etnie, slavi di vario genere. Allora appare evidente, almeno per chi vuol vedere, che la prima questione non è l’“italianità”, ma l’educazione, per tutti, compresi i “nostri”, ad una convivenza umana resa spesso più difficile da quel fattore di conflitto che è la povertà. Compresa quella culturale.



Ci sono poi alcune questioni particolari di cui non si parla, anche perché in pochi le conoscono. Non tutti sanno che in alcuni Paesi non è permesso avere una doppia nazionalità. Inoltre chi rinuncia alla nazionalità per assumerne un’altra è visto come una specie di traditore della patria. Questo rende praticamente impossibile alle famiglie che non rinunciano alla prospettiva prima o poi di ritornare in patria, di farlo.

Ci sono anche grosse differenze tra noi e molti Paesi, soprattutto dell’Asia, sulla questione del diritto di famiglia. Basti pensare, ad esempio, che in questi Paesi non esiste, e non è neppure concepibile, quella che noi chiamiamo “separazione dei beni” per quanto riguarda il matrimonio. In alcuni Paesi di regime socialista la comunione dei beni si estende non solo al coniuge ma anche al collettivo a cui appartiene. I figli divenuti italiani di queste famiglie come potranno avere diritto all’eredità sui beni posseduti in patria dai genitori?



Con tutto ciò non voglio affatto escludere la necessità di trovare una soluzione per chi evidentemente non tornerà più in patria. Certo è che per quanto detto precedentemente non si può concedere la cittadinanza in base allo ius soli automaticamente. Comunque si dovrebbe aprire la prospettiva di un dibattito serio, ampio, che tenga conto di tutti i fattori, senza preclusioni aprioristiche dettate da impostazioni ideologiche, superata dai fatti, cioè dalle necessità dei cittadini.

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