Egregio direttore,
si parla molto e, al contempo, del nulla riguardo all’Iva. Molto, perché fa sudare freddo se obbligati al rialzo; nulla, perché – a mio modesto, e forse errato, parere – nessuna delle forze politiche che dibattono la questione ha esplicitato con chiarezza come procedere, e in particolare come farlo nel quadro del vincolo complessivo cui deve rispondere il bilancio economico e finanziario del 2020.



Questa imposta, che taglia trasversalmente tutta la domanda di beni e di servizi, per la sua qualità “indiretta”, non colpisce in modo mirato e personale come l’Irpef, ma si spalma, fatte salve talune eccezioni, sull’intero mercato, concorrendo a determinarne la fibra.

Se va al rialzo, in un ciclo prossimo al negativo, aumenta la debolezza della domanda, che si ripercuote sulle aspettative delle imprese, e rafforza quelle criticità che sono vincoli e ostacoli per una crescita già quasi dimenticata a causa dello scenario vigente. Se viene sterilizzata, perché sul libro notarile europeo è registrato un taglio di 23 miliardi di euro, il risultato cambia secondo l’impatto. Nel primo è a valle, nel secondo è a monte.



Perché una premessa quasi scolastica? Per ricordare che, stante la natura di salvaguardia macroeconomica attribuita alle clausole con un debito pesante come il nostro, a monte la progettazione di una politica di bilancio ha due fattori: un convitato di pietra pesante 23 miliardi euro e un orizzonte di gestione della locomotiva economica… a vapore di poco respiro, perché c’è poco carbone. Questo accade, se la Commissione europea non apre qualche consistente deposito di combustibile fossile in più (esempio poco felice, lo so, ma chiaro), grazie a un possibile gioco di tripletta nazionale aperto da Mattarella e condotto da Conte come premier, affiancato da Gualtieri, e da Gentiloni come commissario, per alzare l’asticella del deficit flessibile.



Ad oggi si conoscono solo pochi passaggi sia di quello che farebbe il Governo, sia ancor meno di quello proposto dai vari partiti, anche riducendo a poco più di 15 miliardi di euro il burden, secondo le stime elaborate da Cottarelli. E siamo solo al 2020…

Per prassi ed esperienza, ogni intervento fatto sul campo per la tematica in questione parte dai tagli lineari e approda ai tagli a scure, che non solo tendono a colpire sempre sanità, scuola, difesa, servizi sociali, ma diventano pure definitivi, riposizionando il nastro di ripartenza all’indietro.

Alla luce di quanto detto, vorrei esplicitare la proposta dei P&P (Popolari & Progressisti) che attualmente rappresento.

L’ obiettivo è sterilizzare l’aumento dell’Iva evitando tagli di miliardi o imposizioni fiscali equivalenti o complementari, sostituendo entrambe con una sospensione triennale dell’ammontare obbligato in tutto il settore pubblico, ripartita in modo equilibrato grazie alla spending review sul medesimo settore. Ciò crea un’area sulla quale, attraverso l’incardinamento nel processo di spending review e la sospensione della spesa tanto corrente quanto programmata, si eserciterebbe l’azione della dirigenza pubblica per razionalizzare, ristrutturare e ottimizzare obiettivi e spesa.

Se alla fine del triennio, concorrente il miglioramento atteso del ciclo economico, vengono raggiunti gli obiettivi prefissati, verrà ripristinata la capacità di spesa. In ordine contrario, la sospensione si trasforma in taglio definitivo. Chiaramente, stante l’estensione del settore pubblico, la sospensione spalmata sull’intera area non pesa in modo differente e solo su taluni comparti, ma viene condivisa da tutti. E tutti sono responsabilizzati in modo direttamente proporzionale ai risultati ottenuti nel triennio.

Per attivare una procedura siffatta è sufficiente, ritengo, un decreto legislativo elaborato dalla maggioranza che sostiene il Governo.