Dopo l’idrossiclorochina, è il turno dell’ivermectina. Ora è sul farmaco antiparassitario che si sta consumando la battaglia nella comunità scientifica e nell’opinione pubblica. In Gran Bretagna è partita la sperimentazione, curata dall’Università di Oxford, per capire se può essere utile contro il Covid. Al momento, infatti, non c’è uno studio randomizzato e condotto su larga scala che abbia dimostrato la sua efficacia, ma solo piccoli studi osservazionali che hanno evidenziato risultati promettenti. Nonostante le scarse evidenze scientifiche, è stato usato in diversi Paesi dell’America Latina (dall’Argentina ad esempio è arrivata una bocciatura), come in Brasile, ma anche in Sudafrica e in alcuni Stati indiani. Lo scorso marzo l’Oms ha ricordato che non si è arrivati a conclusioni definitive riguardo l’efficacia dell’ivermectina, che quindi va usata solo all’interno di studi clinici. Ma non ci sono davvero prove del fatto che funziona/non funziona? I no vax parlano di complotto, ma non bisogna essere né no vax né complottisti per notare un certo scetticismo quando si tratta di parlare di ivermectina.



Secondo quanto riportato da Daniel Horowitz su The Blaze, c’è un piccolo studio condotto in Israele su 30 pazienti: di questi 29 sono guariti in 3-5 giorni usando l’Ivermectina. Ma cita anche l’India, travolta dal coronavirus fino a qualche settimana fa, tanto da sviluppare una nuova variante, quella Delta, che si sta diffondendo nel nostro Paese.



IVERMECTINA, I DATI DALL’INDIA

Ebbene, parla di un calo del 99% di casi dal 24 aprile al 7 giugno a Delhi dopo aver avviato l’uso di questo farmaco. Un trend simile è stato riscontrato nell’Uttar Pradesh. La riduzione complessiva in India dopo il picco è stata del 76%. Anche il tasso di mortalità si è abbassato. E il merito non è della campagna vaccinale, visto che meno del 15% di indiani ha ricevuto almeno una dose. L’ipotesi è che questo calo sia dovuto ai trattamenti precoci, oltre che ad una “immunità naturale”. Per il giornalista una prova dell’efficacia dell’ivermectina arriva da quegli Stati indiani dove invece non è stata adottata. In Tamil Nadu, ad esempio, è stata scartata in favore del remdesivir, ma il coronavirus solo recentemente ha cominciato a rallentare la sua corsa. Invece nello Stato di Goa, dove l’ivermectina è stata offerta agli adulti dall’11 maggio, il calo di casi è dell’87% in un mese. Discorso simile per il Karnataka e Uttarakhand. «L’immunità di gregge sembra la causa principale, ma gli Stati che hanno usato l’Ivermectina sembrano sperimentare un calo più rapido di casi rispetto a chi invece non l’ha utilizzato», scrive Daniel Horowitz su The Blaze. Inoltre, ha evidenziato un trend simile in Messico, citando le dichiarazioni rilasciate da Claudia Sheinbaum, sindaco di Città del Messico, secondo cui uno studio ha dimostrato che l’ivermectina ha diminuito la probabilità di ricovero nella sua metropoli tra il 52% e il 76%.



IVERMECTINA, AVVIATA SPERIMENTAZIONE IN UK

Qualcosa però si sta muovendo, perché appunto è cominciata la sperimentazione in Gran Bretagna, da dove possono arrivare riscontri scientifici in merito anche ai dati finora trapelati dall’India di cui però non si ha precisa contezza. Perché il punto è anche questo: come i vaccini, seppur sperimentali, hanno seguito un iter preciso, per il quale si può parlare di efficacia e sicurezza, lo stesso bisogna fare per capire se lo sono determinati farmaci. La sperimentazione britannica fa parte di Platform Randomised Trial of Treatments in the Community for Epidemic and Pandemic Illnesses (PRINCIPLE), il più grande studio clinico al mondo sui possibili trattamenti Covid per la guarigione a casa e in altre impostazioni non ospedaliere. Finora sono state reclutate oltre 5mila persone nel Regno Unito. «Con note proprietà antivirali, l’ivermectina ha dimostrato di ridurre la replicazione della SARS-CoV-2 in studi di laboratorio. Piccoli studi pilota mostrano che la somministrazione precoce di ivermectina può ridurre la carica virale e la durata dei sintomi in alcuni pazienti con COVID-19 lieve», osserva l’Università di Oxford, che vuole fornire prove solide e spazzare via ogni dubbio.