Oltre oceano continua il dibattito sul possibile uso dell’ivermectina nelle cure contro il Covid-19. Il farmaco, per il quale ancora manca il parere della FDA sull’efficacia contro il coronavirus, è somministrato anche alle donne incinta e anche a bambini e neonati, ma nella lotta al virus ha trovato diversi muri alzati dall’ente governativo statunitense che si occupa della regolamentazione dei prodotti farmaceutici. Una nuova ricerca, pubblicata su Science Direct prova però a mettere in dubbio l’idea americana, confermando come altri studi l’effettiva utilità del farmaco contro il coronavirus.



Insignito del premio Nobel per la medicina nel 2015, l’ivermectina è un farmaco antimalarico usato principalmente per malattie tipicamente tropicali, ma nel marzo 2020 è stato utilizzato in alcuni casi contro il Covid-19. Dai primi rilievi è stato possibile scoprire inizialmente che i casi trattati con l’antimalarico non si aggravavano e che il numero di decessi fosse sotto controllo, ma dalla Food and Drugs Administration non è mai arrivato il via libera per il trattamento. Nello studio pubblicato dalla piattaforma scientifica è arrivato un chiaro esempio dell’efficacia del farmaco in un paese come il Perù nel quale l’uso dell’ivermectina ha ridotto di 14 volte il numero dei decessi e una volta bandito dal nuovo presidente a fine 2020 i morti sono aumentati nuovamente, con numeri 13 volte maggiori ai mesi precedenti.



In Perù ridotti 14 volte numero morti: “Con vaccini è efficace”

Lo studio pubblicato su Science Direct, condotto dagli studiosi Santin, Scheim, McCullogh, Yagisawa e Borody pubblicato ad agosto, dimostra come l’ivermectina possa avere un’efficacia non trascurabile contro il Covid-19. Stando alla ricerca pubblicata sulla piattaforma scientifica, infatti, primi studi su animali hanno permesso di riscontrare dei miglioramenti nell’infezione da coronavirus. Nello specifico gli studiosi hanno trattato criceti e topi col farmaco, osservando la diminuzione della carica virale e miglioramenti nell’incidenza di anosmia (la perdita dell’olfatto) e riduzione dei danni epatici.



Gli studi, condotti in vari paesi del mondo anche sull’uomo, hanno poi dimostrato che anche il rischio relativo di mortalità con trattamento da ivermectina è stato ridotto, con soli 31 decessi sui 1101 casi trattati. La ricerca si è poi concentrata sui trattamenti combinati tra IVM e coadiuvanti che ne hanno dimostrato l’efficacia. Nello specifico, si evince dallo studio, i dati emersi supportano favorevolmente l’estensione del trattamento insieme alle vaccinazioni, perché il legame con la proteina Spike potrebbe produrre piena efficacia contro i ceppi mutanti del virus. Da Science Direct è arrivata dunque un’altra pagina del dibattito pro o contro ivermectina, con la palla che passa alla FDA per le valutazioni del caso.