Anche Le Monde mette nero su bianco la crisi italiana e lo fa con un semplice numero. Tra la fine del 2020 e il ’21 i fallimenti delle nostre imprese aumenteranno del 37%. Imprese che hanno atteso, chiesto e non ottenuto gli aiuti – comunque insufficienti – promessi dal governo, paralizzato dal miraggio dei finanziamenti europei e umiliato dalle cifre imponenti messe a disposizione da Germania e Francia.



“Siamo prigionieri dell’idea che la stabilità sia un valore in sé” dice Stefano Folli, editorialista di Repubblica. “La stabilità è un valore, ma quando è al servizio di un progetto politico”, che al governo Conte manca del tutto. Folli teme un autunno nero, con l’Italia in balia di una tempesta dello spread.



C’è la consapevolezza della gravità della situazione?

C’è nelle forze produttive, non altrettanto nel governo. A parole sì: anche Conte ha detto di prepararsi al peggio, a tempi più difficili, e via dicendo. Ma questo è troppo generico.

Gli Stati generali?

Mi ricordano le discussioni che si facevano in una villa sopra Firenze durante la peste del Trecento, quella del Boccaccio.

Cosa si dovrebbe fare?

Rimboccarsi le maniche e affrontare le questioni concrete legate alla vita delle imprese e delle famiglie. Non lo si fa, non con la contezza del dramma che l’ora dovrebbe consigliare.



Ha mai visto una opposizione di Confindustria così forte?

Bonomi dice cose che vanno oltre la tradizionale difesa degli interessi di categoria e pone Confindustria come un soggetto politico. Così facendo si espone a polemiche, ma dà a Confindustria un ruolo che in passato non aveva.

Fino a dove può spingersi?

Chiedere un altro governo ha poco senso, perché ci vogliono i soggetti che possano realizzarlo. È la caratteristica di tutta questa fase politica: è come se stessimo parlando di un mosaico di cui abbiamo solo alcuni tasselli.

Anche la scuola è un problema. È fatta di dipendenti pubblici, dunque di persone che molto meno di altre hanno sentito gli effetti della crisi. Nondimeno, con la “Buona Scuola” Renzi si è inimicato quel mondo. Secondo lei ci sta riuscendo anche questo governo?

Sì, c’è questa possibilità. In questa fase non ci sono più blocchi di consenso garantiti. Nemmeno nel pubblico impiego. Non so se verranno meno, ma ci sono indizi di incrinature molto serie in settori che un tempo erano acquisiti.

Questo guadagnare tempo con qualsiasi mezzo giova ai progetti personali di qualcuno?

Siamo prigionieri dell’idea che la stabilità sia un valore in sé. La stabilità è un valore, ma solo quando è al servizio di un progetto politico. Quando invece vuol dire solo tirare per le lunghe, può diventare molto rischiosa. Adesso perdere tempo è un lusso che non possiamo permetterci.

Altrimenti?

Siamo un paese iper-indebitato, che non attua le politiche che ci vengono consigliate per tenere sotto controllo i nostri conti. Se insieme a questo non facciamo nulla per ripartire, i mercati ci puniranno. In autunno potremmo trovarci di fronte a una nuova crisi dello spread anche se la Bce ci sta aiutando.

Non crede che questo regime di stabilità forzosa piaccia innanzitutto a Conte e Mattarella?

Avremo una crisi economica e sociale drammatica. La maggiore preoccupazione del Capo dello Stato è che forze politiche responsabili, nell’attuale quadro politico, facciano di tutto per evitarla. Credo che il presidente della Repubblica abbia questo intendimento, l’unico che gli si può attribuire, per rispetto delle istituzioni.

E Conte?

La mia impressione è che non perda tempo per il gusto di farlo, sarebbe controproducente anche per lui.

Allora perché lo fa?

Perché non sa cosa fare. Pensa e spera che l’Europa, di fronte all’aggravarsi della crisi, prima o poi gli tolga le castagne dal fuoco.

Il Consiglio europeo di oggi non sarà risolutivo: è stato lo stesso Conte a dirlo. Il Recovery Fund si allontana.

Sui soldi in arrivo del Recovery Fund è stato costruito un impianto teorico-mediatico sbagliato, perché è noto da tempo che il Fondo dev’essere ancora negoziato. Conte però non ha uno schema di ricambio.

E per questo che pensa al Mes?

Lui lo prenderebbe, ma una parte della maggioranza non vuole. Anche questo è un problema.

Risolvibile o no?

Lo è se il governo si dà una direzione di marcia. Se si mettono in moto i cantieri e si danno minimi segni di ripresa nel paese, allora tutte quelle frange che in maggioranza non vogliono il Trattato potrebbero dire sì.

E se la situazione ristagna?

In questo caso, con un governo che non sa che pesci prendere e con l’Europa che sul Recovery Fund tentenna e rinvia, allora diventa difficile porre la questione del Mes. Ecco perché si tende a rinviare a settembre.

Tutto dovrebbe accadere a settembre: il peggioramento della crisi, l’election day, le decisioni dell’Europa, cos’altro ancora?

Settembre è diventato il refugium peccatorum a cui si rinviano tutti i nodi che non si riescono a sciogliere adesso.

Zingaretti ha scritto a Repubblica: prima il processo agli indagati per il caso Regeni, poi la vendita delle navi all’Egitto. Ci sono malumori nel Pd verso Conte?

Sì, ci sono. Zingaretti non poteva stare zitto. Avrebbe dato l’immagine di un partito di governo o irrilevante, o consenziente su un affare di realpolitik che si situa agli antipodi di una battaglia di sinistra come è il caso Regeni. E il Pd in questo momento ha disperato bisogno di lustrare la sua immagine.

Ma quali sono le ragioni vere del malessere?

Il prezzo più alto della crisi che si prepara in autunno sarà pagato in termini di consenso proprio dal Pd, non dai 5 Stelle, che troveranno più facilmente una via d’uscita grazie alla flessibilità degli slogan populistici.

C’è però un politico del Pd che potrebbe salvare la situazione in caso di crisi extraparlamentare: Franceschini.

Sì ma tutti questi scenari hanno un difetto, restano nel limbo di uno stato gassoso, quello della pura eventualità delle cose.

Cosa manca?

Manca un Pd che chiede a Conte un chiarimento vero, facendogli capire che se i problemi non vengono affrontati allora si può pensare a una crisi di governo.

E perché non si arriva a questo confronto?

Perché se si mettesse in questione il presidente del Consiglio, la maggioranza sarebbe subito a rischio. In questa situazione gassosa Conte tesse la sua tela e di rinvio in rinvio pensa di arrivare all’estate del 2021, quando scatta il semestre bianco. Ma l’estate 2021 è tra un anno e un anno è lunghissimo, tanto più se scandito da problemi economici enormi.

Qual è la via d’uscita?

Io francamente non la vedo.

(Federico Ferraù)

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