Il Governo sembra pronto a rivedere le stime di crescita del Pil per il 2022: il Def, ancora in via definizione, dovrebbe infatti prevedere una crescita al 3% rispetto al 4,7% ipotizzato lo scorso ottobre. Intanto il decreto per contrastare i rincari energetici non pare aver incontrato il pieno favore del mondo imprenditoriale. Il ministro del Lavoro Orlando ha spiegato che in prospettiva non si può escludere il ricorso a uno scostamento di bilancio, “ma la nostra ambizione è ottenere risposte strutturali in Europa”. Secondo Gustavo Piga è però inutile farsi illusioni. «Mi sembra che l’Europa sia stata chiarissima e stavolta credo che non si possa addebitare, come in passato, la responsabilità a quella costruzione burocratica, lontana, chiamata Commissione europea», ci dice infatti il professore di Economia politica all’Università Tor Vergata di Roma.

Cosa intende dire Professore?

Dopo il Consiglio europeo informale di Versailles, dove poco si è parlato di sostegno all’economia e di politiche fiscali, il 14 marzo si è tenuto l’Eurogruppo le cui conclusioni sono molte nette: i ministri dell’Economia e delle Finanze sono chiarissimi nel sostenere che bisogna attuare quella politica asimmetrica che la Commissione europea aveva oltraggiosamente suggerito il 2 marzo. La responsabilità è quindi tutta in capo ai rappresentanti politici, che hanno dichiarato di accettare la proposta della Commissione.

Che conseguenze ha la decisione, di cui non si è sostanzialmente parlato sui giornali italiani, dell’Eurogruppo?

Si è detto chiaramente che un Paese come l’Italia, l’anello debole della catena in questo momento, non solo non viene aiutato, ma gli viene chiesto – dopo che ha patito le conseguenze delle politiche austere e la botta del Covid -, con un affronto clamoroso alla logica, di continuare il percorso di riduzione dell’indebitamento. Al contempo, si invitano esplicitamente Paesi come Germania e Francia ad applicarsi per fare maggiori investimenti pubblici, sapendo bene che tutto questo non farà altro che aumentare il divario di competitività e le divergenze già emerse nell’ultimo decennio tra gli Stati membri. Ora, tutto può essere al limite compreso e razionalizzato, tranne una cosa.

Quale?

Che questa decisione dell’Eurogruppo sia stata approvata all’unanimità. Cioè che il ministro dell’Economia italiano abbia firmato un documento che condanna il proprio Paese: credo sia una cosa mai vista.

Il punto, quindi, è che l’Eurogruppo non avrebbe dovuto assecondare le Linee guida per la politica di bilancio per il 2023 approvate a inizio mese dalla Commissione europea?

Nel comunicato sulle conclusioni dell’Eurogruppo c’è un passaggio che ritengo importante per capire meglio l’assurdità della decisione presa dai rappresentanti politici dei Paesi europei. Si legge, infatti, che l’Eurogruppo sostiene il passaggio “da un orientamento di bilancio aggregato favorevole nella zona euro a un orientamento di bilancio aggregato sostanzialmente neutrale il prossimo anno”. Il problema è che se in un periodo di guerra non rimaniamo neutrali politicamente, non possiamo esserlo però economicamente. Non usare la politica fiscale in un momento di guerra è inconcepibile. Perché, se non rimaniamo silenti di fronte a quello che avviene in Ucraina, dobbiamo invece farlo sul fronte economico che, è vero non porta le stesse distruzioni, ma genera comunque sofferenze a chi da anni subisce le conseguenze delle politiche scriteriate che sono state imposte?

Nel comunicato, però, si legge anche che l’Eurogruppo è pronto “a reagire all’evolversi della situazione economica”….

Mantenendo tuttavia un orientamento di bilancio aggregato neutrale. Quindi, qualcuno reagirà e a qualcun altro sarà chiesto di reagire in maniera inversa per mantenere l’equilibrio. Bisognerebbe poi chiedersi che senso ha affermare di tenersi pronti a intervenire di fronte alla situazione attuale: serve che scoppi una guerra nucleare perché l’Europa si muova? Mi lasci infine dire che la politica economica non si fa così: in questi momenti occorre affermare senza se e senza ma che appena c’è il dubbio che le cose possano andare storte si interverrà. Vanno rimossi dubbi e pessimismo. Il se non si usa in politica fiscale: si agisce.

È inutile quindi farsi illusioni su quello che farà o non farà il Governo italiano.

Il ministro Franco ha messo la firma sul documento dell’Eurogruppo, quindi non abbiamo avuto nemmeno il coraggio di sollevare il problema, di proteggere i nostri interessi. E chi non protegge i propri interessi contribuisce a portare un’unione alla sua fine. Stiamo correndo dei rischi mostruosi e non ce ne rendiamo conto.

Quindi, non è solo l’Italia che pagherà un alto prezzo, ma tutta l’Europa.

L’Europa è l’Italia e l’Italia è l’Europa. Se muore l’Italia, muore l’Europa. Un’unione di popoli è forte nel momento in cui è forte la sua parte più debole, che non a caso è stata pochi giorni fa presa di mira dalla Russia.

Non vede possibilità di cambiamenti, magari in occasione del Consiglio europeo che inizia giovedì?

No, penso che siamo condannati a un declino inesorabile. Credo che l’irrilevanza politica dell’Europa in questo contesto sia figlia di un’irrilevanza economica. Cinque anni fa uscì un libro che scrissi con Lorenzo Pecchi e Andrea Truppo, dal titolo “Difendere l’Europa”, nel quale spiegavamo quanto sarebbe stato fondamentale, in quel momento, procedere senza se e senza ma, per esempio, alla costruzione di un esercito europeo. Il non agire è, però, in realtà un agire: se ci fosse stato un forte esercito europeo probabilmente questa crisi sarebbe stata diversa. Oggi l’Europa è irrilevante, si parla solo di Cina, Russia e Stati Uniti. Dobbiamo capire che è dalla povertà delle nostre politiche economiche che nasce questa povertà politica.

Insomma, siamo destinati come Europa al declino.

Assolutamente sì. Di cosa abbiamo bisogno per svegliarci, visto che nemmeno quello che sta accadendo ora ci smuove? La politica economica è una parte fondamentale della società, tutto quello che succede nella società richiede che la politica economica le stia accanto. Se ciò non avviene, si rompe il contratto sociale, che in questo caso si chiama unione dei popoli europei.

(Lorenzo Torrisi)

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