Ci sono settori a cui lo Stato non fa mancare i sussidi anche se incapaci di reggere la concorrenza del mercato, ci sono comparti a cui lo Stato lascia poche briciole anche se sono asset molto competitivi del made in Italy e ci sono settori a cui lo Stato “nega” quel che spetta loro, anche se ne hanno tutto il diritto. In Italia succede anche questo, in un intreccio di burocrazia, dotazione di risorse insufficienti, scarsa lungimiranza. È il caso, per esempio, di Trenord, azienda del trasporto ferroviario locale che opera soprattutto in Lombardia. A farlo intendere con chiarezza è Marco Piuri, amministratore delegato di Trenord e direttore generale di Fnm: “Noi non chiediamo un intervento perché siamo un’azienda o un settore in crisi, come possono essere una compagnia aerea o l’intero comparto alberghiero. La compensazione per i mancati ricavi dovuti all’emergenza Covid-19 è un diritto che ci spetta, deriva dal Contratto di servizio stesso, come riconosciuto anche dai regolamenti Ue. La differenza è fondamentale”.
Per capire questa storia, bisogna però fare un passo indietro. “Il punto di partenza – chiarisce Piuri – è che Trenord gestisce un servizio pubblico, quello del trasporto ferroviario locale, sostanzialmente sotto l’ombrello del principio che si chiama Public Service Obligation, l’Obbligo di servizio pubblico. In pratica, Trenord non può decidere in autonomia se far viaggiare più treni o meno treni. C’è un ente, nel nostro caso la Regione Lombardia, che ha la titolarità per decidere che servizio va erogato. Trenord è solo l’esecutore nel rispetto del cosiddetto Contratto di servizio.
Che cosa prevede questo Contratto di servizio?
Definisce quanti servizi e come offrirli. Attenzione però: la mobilità è sì una necessità e un diritto, quindi va garantita, ma il trasporto ferroviario è un servizio che ricade in quello che gli economisti definiscono “fallimento di mercato”.
Che cosa significa?
Ci si riferisce a un servizio pubblico che non si giustifica in una logica puramente commerciale di mercato, perché i suoi fondamentali non consentono un equilibrio economico-finanziario.
Quindi?
L’ente regolatore, consapevole di questo, ne garantisce l’erogazione, pagando con risorse pubbliche un sussidio, il cosiddetto corrispettivo. Cioè l’ente pubblico paga perché stabilisce di assicurare l’erogazione di determinati servizi che rispondono a un’esigenza generale.
Però esiste anche un’altra fonte di ricavi, quella legata alla vendita di biglietti e abbonamenti acquistati dai passeggeri. Non basta?
Il Dlgs 422/97, che ha avviato la fase di liberalizzazione del trasporto pubblico in Italia, pretendeva addirittura di fissare per legge il rapporto proporzionale tra le due fonti di ricavo: quella da biglietti e abbonamenti doveva arrivare almeno al 35% del totale degli introiti. Ma è sostanzialmente rimasta un’affermazione normativa, sulla carta. Mediamente in Italia i ricavi da biglietti arrivano al 20-25%, con situazioni territoriali comunque molto diverse. In alcune aree del Paese, per esempio, sono ferme tra il 10 e il 20%.
A quanto ammonta invece il rapporto per Trenord?
Noi siamo al 45%. Ma, detto tutto questo, qui entra in gioco il Regolamento europeo 1370 del 2007, che fissa un principio fondamentale: siccome gli operatori ferroviari svolgono un servizio pubblico essenziale e lavorano sulla base di un Contratto di servizio, questo Contratto deve essere garantito nel suo equilibrio economico-finanziario.
In concreto?
Il Regolamento 1370 riconosce che per garantire il servizio le due fonti di ricavi devono essere tali da coprire ovviamente i costi e garantire un margine ragionevole di utile sulla base di un Piano economico finanziario (Pef) concordato. Se una delle due fonti, però, si sbilancia rispetto alle previsioni o a quanto previsto dal Contratto, e non per scelte aziendali, deve scattare una compensazione.
Questo significa che il sussidio vi spetta di diritto?
Il 1370 in sostanza dice: se viene meno l’equilibrio economico-finanziario, cioè una situazione di sottocompensazione dovuta a cause non dipendenti dall’azienda, l’ente pubblico deve riequilibrare il Contratto.
È quello che è successo in questi mesi di lockdown?
Esatto. Con la comparsa dell’epidemia di coronavirus, lo Stato, le Regioni e il ministero della Salute hanno deciso di bloccare il paese e diverse ordinanze hanno obbligato Trenord a erogare meno servizi, facendo così venire meno, in misura enorme, una parte rilevante dei ricavi da biglietto.
Tradotto in numeri?
Trenord realizza 840 milioni di euro di fatturato, il 45% da ricavi di biglietti e il 55% dal corrispettivo della Regione Lombardia. A marzo e aprile abbiamo registrato minori ricavi per 54 milioni, oltre al calo secco dell’85-90% dei passeggeri, che in periodo pre-Covid avevano raggiunto livelli record superiori agli 800mila viaggi al giorno. Non solo: siccome si ragiona ancora su misure di sicurezza, minore capacità di trasporto passeggeri, paura delle persone a spostarsi, attività non ancora riavviate e scuole ferme, da qui a fine anno stimiamo ulteriori minori ricavi per 100-150 milioni. Insomma, entro fine 2020 potrebbero mancare 200 milioni di ricavi, che sono la metà o più della metà di quanto Trenord incassa dai biglietti ogni anno: 360 milioni.
Quindi siete un’azienda in crisi?
No, il ragionamento è un altro: Trenord non è l’Alitalia e non è neppure il settore turistico-alberghiero.
In che senso?
Trenord non chiede allo Stato di intervenire perché è un’azienda o un settore in crisi. La compensazione è un diritto che deriva dal Contratto di servizio stesso. La differenza è fondamentale. Per un settore in crisi, infatti, si può valutare quali misure sia opportuno adottare o meno, ma nel nostro caso, siccome la gente ha dovuto stare a casa e sono venuti meno i ricavi da biglietto, occorre che al sistema venga garantito equilibrio dal soggetto contraente che ha “disegnato” il servizio. Lo prevede il 1370 e alcune delibere dell’Autorità di regolazione dei trasporti hanno pure già definito con precisione il meccanismo di calcolo. Ma c’è un altro dato che complica il quadro.
Quale?
Le competenze sul trasporto pubblico ferroviario, settore interessato dalla riforma del Titolo V, sono state trasferite alle Regioni. Ma il Titolo V è rimasto a metà strada, tanto che le Regioni sono sì responsabili del servizio, ma il Fondo per pagare il corrispettivo è invece nazionale, e viene poi ripartito tra le Regioni.
E qui sta la complicazione, giusto?
Sì. Trenord, per far valere l’obbligazione contrattuale, deve rivolgersi alla Regione Lombardia, che a sua volta ha firmato con noi un contratto sulla base di una ripartizione delle risorse che sono invece garantite dallo Stato.
A quanto ammonta la dotazione di questo Fondo nazionale?
A circa 4,9 miliardi, di cui 850 milioni spettano alla Lombardia. In più la Regione, dal suo bilancio, mette ulteriori 400 milioni a integrazione del Fondo nazionale.
Quali sono le vostre richieste?
Siccome nei bilanci pubblici le risorse per pagare il corrispettivo sono già postate, abbiamo chiesto che fossero tutte erogate alle aziende, cioè che fosse pagato il 100% di ciò che è previsto dal Contratto di servizio, a prescindere dalla quantità di servizio prestata. Giustamente l’articolo 92 del Cura Italia prevede questa compensazione totale. Peccato, però, che la questione sia finita sui tavoli della Ue e stia aspettando il vaglio degli aiuti di Stato. Ma è un assurdo: compensare il corrispettivo non è dare un aiuto di Stato, è rispettare un contratto.
Ci sono altre misure utili?
Nel decreto liquidità hanno previsto che, in caso di perdite significative generate dal Covid-19 che vanno a intaccare il patrimonio netto della società, non è comunque richiesta una ricapitalizzazione. È come se la perdita fosse congelata. E questo è certamente positivo.
E il decreto Rilancio?
L’articolo 200 prevede che venga istituito presso il ministero dei Trasporti un fondo per compensare le aziende sui minori ricavi. Parliamo di 500 milioni per l’anno 2020.
Sono risorse sufficienti?
Al contrario. A Trenord mancheranno dai 150 ai 200 milioni e, considerando l’intero settore del trasporto pubblico locale, la stima è che possano venir meno almeno 1,5 miliardi di ricavi. Quindi, questo fondo non solo arriva in ritardo, visto che ci sono voluti 4 mesi per crearlo e riguarda solo il 2020, ma soprattutto risulta del tutto insufficiente, perché è pari a un terzo di quel che serve veramente.
Si sa qualcosa anche sui criteri di ripartizione del fondo?
Qualcuno ha provato a sostenere che bisogna ripartirlo nelle stesse proporzioni del Fondo nazionale dei trasporti. Così alla Lombardia spetterebbe il 17%. Ma è una richiesta che non sta in piedi.
Per quale motivo?
Il fondo serve per compensare i ricavi e non può essere ripartito in base al corrispettivo, altrimenti si penalizza ancora una volta chi ha più ricavi da biglietto. È il contrario di quel che serve. Ma attorno a questo punto è ancora aperto il dibattito.
In Europa come si stanno comportando?
Cito solo due esempi. La Germania ha messo subito sul piatto 5 miliardi, mentre la Gran Bretagna ha destinato 2 miliardi di sterline solo per Londra e nel giro di due settimane ha assicurato tutte le imprese ferroviarie sul fatto che il rischio commerciale lo assumerà lo Stato, garantendo l’intera copertura dei costi.
L’emergenza Covid-19 lascerà tracce pesanti sul mondo dei trasporti?
Nei paesi del Nord Europa il problema della compensazione è già risolto, tanto che le imprese del trasporto pubblico stanno già correttamente pensando come rilanciare il settore in chiave di sostenibilità dal 2021 in avanti dentro il progetto europeo del New Green Deal. È quello che dovremmo fare anche in Italia, ma senza certezze sui corrispettivi al momento è impossibile programmarlo.
(Marco Biscella)