Chi si attendeva che al simposio estivo di Jackson Hole – quest’anno in special edition digitale – i banchieri centrali iniziassero a fare i primi “compiti a casa” in vista di uno graduale sgonfiamento delle bolle-Covid dei debiti pubblici è rimasto deluso, anzi: decisamente choccato.

Il più importante dei governatori, Jay Powell della Fed, ha approfittato della fitta zoomata imbastita attorno alle montagne dello Wyoming per delineare addirittura una nuova “dottrina”. L’obiettivo di politica monetaria della banca centrale del dollaro non avrà più il target di inflazione al 2%, ma tale livello – peraltro assente da anni nelle statistiche macro in tutto il mondo – diventerà “medio”. La Fed, quindi, si prepara a “tollerare” eventuali rialzi inflazionistici “moderatamente superiori” a quello che invece, resta per ora un muro infrangibile per la Bce. Quest’ultima, peraltro, per bocca del portoghese Vitor Costancio, vice di Christine Lagarde, ha salutato come “positivo” il passo della Fed, che potrà essere “imitato” da altre banche centrali.



Il segnale di Powell è dunque netto: in tempo di rischio-deflazione, gli obiettivi di inflazione non sono più tabù prioritari. In tempi di paurosa recessione da pandemia, il debito pubblico è la leva principale su cui i governi devono agire per stimolare la ripresa. E la banca centrale americana si dichiara pronta con i suoi strumenti di politica monetaria. Ma è la strategia prospettata alla Ue – al picco della pandemia – dall’ex presidente della Bce Mario Draghi. Una strategia che la Bce a guida Lagarde ha prontamente abbracciato dopo qualche sbandamento d’esordio. La Ue, dal canto suo, ha trovato a metà luglio un faticoso compromesso-svolta su un pacchetto di aiuti fiscali a debito.



La mossa del capo della Fed – nominato da Donald Trump e spesso criticato dalla Casa Bianca – non mancherà di far discutere anzitutto negli Usa, a settanta giorni dal voto presidenziale. Già la coincidenza fra il discorso di Powell e la giornata finale della convention repubblicana ha fatto arricciare parecchi nasi: soprattutto quando alcuni sondaggi vedono assottigliarsi il gap estivo fra Trump e lo sfidante democratico Joe Biden. Dalla Fed è giunto una sorta di whatever it takes monetario orientato a un obiettivo politico, peraltro ricompreso a Washington fra quelli statutari: il contrasto “ad ogni costo” alla disoccupazione negli States (ai minimi storici prima del Covid, oggi impennatasi oltre il 10%). Nell’attesa che gli elettori decidano a chi credere di più (al Congresso è ancora battaglia su nuovi pacchetti di aiuti statali a debito a famiglie e imprese) è invece prevedibile che la banca centrale “espansionista” faccia felice Wall Street: che ha già ritrovato i suoi massimi dopo il primo, imponente rifinanziamento straordinario dell’economia deciso a fine marzo da Powell. E una Wall Street di buon umore potrebbe essere meno invogliata – il primo martedì di novembre – a cambiare cavallo e partito per la Casa Bianca. L’alternativa al trumpismo è sì il centrismo dell’ex vice di Obama: sempre circondato, tuttavia, dagli agguerriti “socialisti” Bernie Sanders e Alexandria Ocasio-Cortez, che vorrebbero tornare a ipertassare imprese e alti redditi e patrimoni.