Jacques Brel ha avuto successo anche nel cinema e non solo nella musica. Nel 1968 ha debuttato come attore nel film Les Risques du metier. Il successo nei panni di interpreta arriva nel 1969 quando recita per Edouard Molinaro, regista de Il Vizietto, nel film Mio zio Beniamino, l’uomo dal mantello rosso. Ha recitato poi anche altri grandissimi autori come Marcel Carné in Inchiesta su un delitto della polizia e per Claude Lelouch in L’avventura è l’avventura. Chiuderà la sua carriera come attore nel 1973 tornando a recitare per Edouard Molinaro in Il rompiballe. Jacques Brel ha avuto anche una carriera da successo come regista. Dopo il buon esordio con Franz nel 1971 questi si è riuscito a distinguere con il film Le Far-West del 1973 dove ha recitato anche il grandissimo Michel Piccoli. Con questo secondo film, che scrisse anche, fu a un passo dalla Palma d’oro al Festival di Cannes che in quell’anno vinsero ex aequo Un uomo da affittare di Alan Bridges e Lo spaventapasseri di Jerry Schatzberg. (agg. di Matteo Fantozzi)



L’INCONTRO CON SERGIO ENDRIGO

Jacques Brel è un’icona nel mondo del cantautorato non solo per la qualità delle sue canzoni, ma per l’impatto che ha avuto la sua influenza. C’è una generazione di cantautori italiani per i quali è stata una fonte d’ispirazione. Vi abbiamo parlato di Giorgio Gaber, ma c’è pure Francesco Guccini che nel 1982 dichiarò: «Amavo quel tipo di canzone, l’armonia e il linguaggio». A risentire dell’influenza del cantautore belga anche Sergio Endrigo, seppur meno evidente. I due si conobbero nel 1964 e a rivelare il retroscena fu proprio il cantautore italiano: «Volevano farlo cantare in italiano. Ma Brel era fiammingo e la sua pronuncia francese era ottima, ma quando cantava in italiano sembrava un tedesco. Non se ne fece nulla». Quando si conobbero, Sergio Endrigo gli disse che se non avesse ascoltato le sue canzoni non avrebbe potuto mai scrivere “Viva Maddalena”. Invece Herbert Pagani, che si trovava bene nel vestire i panni del cantante e svestirli poi per passare a quelli di attore, attinse dalla produzione di Jacques Brel. (agg. di Silvana Palazzo)



JACQUES BREL, 54 ANNI FA L’ULTIMA ESIBIZIONE

C’è un motivo ben preciso per il quale Google ha deciso di celebrare proprio oggi il grande Jacques Brel. Solitamente il team del celebre motore di ricerca opta per le date di nascita o morte per ricordare personaggi simboli, ma questo non è il caso del cantautore in lingua francese. Viene celebrato il 15 novembre perché in questa data, nel 1966, salì sul palcoscenico del Palais des Beaux-Arts a Bruxelles per l’ultima volta. Quel recital è rimasto nella storia della musica insieme a Jacques Brel, che tra l’altro si dedicò pure al cinema. Interpretò una dozzina di film, di cui due che scrisse e diresse. Per uno fu nominato per la Palma d’Oro al Cannes Film Festival. Ma pure la passione per il cinema si esaurì e quindi decise di trasferirsi in Polinesia. Con oltre 25 milioni di album venduti in tutto il mondo, Jacques Brel è senza dubbio un’icona assoluta della canzone francese all’estero. Un’icona che ha influenzato i grandi della musica internazionale. (agg. di Silvana Palazzo)



JACQUES BREL, I ‘BORGHESI’ DI GABER E L’ATTACCO ALL’IPOCRISIA

«I borghesi sono tutti dei porci, più sono grassi più sono lerci, più sono lerci e più c’hanno i milioni, i borghesi sono tutti…»: chi non ricorda questo testo irriverente e tremendamente attuale di Giorgio Gaber dal titolo “I borghesi”? Ecco, è tratto liberamente nelle strofe mentre fedelissimo nel ritornello alla canzone del grande maestro belga-francese Jacque Brel. Come abbiamo ormai imparato, in Italia è il Signor G. ad aver tratto maggiormente dal senso recondito delle opere di Brel: nell’album “I borghesi” sia “Che bella gente” che per l’appunto la traccia che dà il titolo allo spettacolo di teatro canzone si ispira alla denuncia dell’ipocrisia nell’epoca post-moderna. “Les bourgeois”, titolo originario della canzone di Jacques Brel è contenuta nell’omonimo album del 1962 e racconta l’evoluzione delle vite di un trio di amici. Giovani scapestrati, perennemente contro i “padri” e i “vecchi” prendevano in giro la vita della borghesia francese (per nulla dissimile a quella italiana di quegli anni Sessanta): ecco che però gli stessi tre si ritrovano poi in età matura e di fatto vittime della loro stessa critica sociale. Sono loro ad essere divenuti borghesi.

“MAESTRO” DI SINATRA, BOWIE E COHEN

Non solo Gaber, Jacques Brel fu fonte di ispirazione e tradotto per diversi altri geni della musica mondiale che rimasero affascianti e conquistati dal misto di dolore, musica e “libertà” che proveniva dal palco calcato dall’icona belga. Un’icona in patria, un’icona in Francia ma anche oltre Oceano e negli Uk della rivoluzione musicale non rimasero indifferenti dalla musica di Jacques Brel: dal “duca bianco” David Bowie fino al cantautore di origini ebraiche, Leonard Cohen, per non parlare delle “cover” di successo cantate e interpretate da fenomeni assoluti come Nina Simone, John Denver, Ray Charles, Frank Sinatra e in Italia oltre che da Gaber anche Gino Paoli e Bruno Lauzi riuscirono a portare la bellezza della musica di Brel sul palcoscenico. Forse la più famosa di tutte resta davvero “Ne me quitte pas” cantata negli anni Cinquanta da Jacque Brel ma poi performata in inglese col titolo “If You Go Away”: le versioni più felici della cover furono interpretate negli States da Sinatra e Barbra Streisand, in Germania dall’iconica Marlene Dietrich. (agg. di Niccolò Magnani)

“CHE BELLA GENTE”: LA COVER DI GABER

Forse non tutti sanno che diversi autori italiani si sono ispirati/hanno reinterpretato alcuni dei successi più grandi di Jacque Brel: tra questi c’è anche Giorgio Gaber che nella sua particolarissima rivisitazione di “Ce gens la” riesce a produrre un testo di fortissima critica sociale come era solito fare il Signor G., ovvero senza grandi “discorsi” ma la prosa inconfondibilmente legata al racconto quotidiano di una vita umana e drammatica. In “Che bella gente” Gaber riconosce il significato autentico del testo di Brel e si concentra sulla critica “feroce” della gente “normale” che si ritrova a Messa ma che si permette di giudicare tutti pur avendo ognuno un “bagaglio” di dissolutezza nascosta. E poi l’apice del testo, quando Gaber in Brel riporta quel drammatico passaggio della donna protagonista del testo, l’amore della vita per la voce narrante, che però viene osteggiata dalla famiglia perché «non può stare con un pezzente come me». Una gente che giudica senza farsi giudicare e che si permette di dire cosa è giusto o no, chi si deve sposare e chi no: «la tengono al guinzaglio e quando ci incontriamo gli occhi di lei mi fissano e sembra che mi dica che un giorno fuggirà, che mi raggiungerà e allora in quel momento, allora io le credo avvocato ma solo in quel momento, perché da quelle case là nessuno scappa mai!». (agg. di Niccolò Magnani)

CHI ERA JACQUES BREL

Jacques Brel celebrato oggi da Google con uno dei suoi doodle. Con Georges Brassens e Leo Ferré è considerato uno dei “pilastri” della canzone francese del dopoguerra. Per la musica rinunciò a tutto: alla sua carriera da impiegato, alla moglie e alle figlie. La sua è stata una vita intensa e smisurata, fatta di sogni e passioni. Nato a Schaerbeek, vicino Bruxelles, l’8 aprile 1929, sembrava aver indirizzato la sua vita verso un percorso preciso. Lavorava col padre nell’azienda di famiglia e prestava servizio part time nei militari, poi conobbe la futura moglie, Thérèse Michielsen. Nel frattempo, aveva comunque coltivato la sua passione per la scrittura e la musica, anche se alla sua famiglia le sue esibizioni non piacevano affatto. A metà degli anni ’50 però si mise su un treno per Parigi per sfondare nel mondo della canzone e la sua carriera prese subito il volo. Decise di cimentarsi nel mondo cinematografico e lavorò in dieci film. Diviso tra palchi, studi di registrazione, tournée e osterie, raggiunse un punto di svolta nel 1967.

QUANDO JACQUES BREL SI LASCIÒ TUTTO ALLE SPALLE

Quello fu l’anno in cui Jacques Brel decise di lasciare la scena. Fu assalito dalla paura di ripetersi, di restare bloccato nella routine, finendo per ingannare se stesso e i suoi fan. Così si lasciò tutto alle spalle, senza pensare ad un ritorno. Cominciò allora a girare il mondo con il suo veliero Askoy. Giunse in Polinesia e si fermò ad Atuona, dove cominciò una nuova vita. Purtroppo si ammalò di cancro, quindi tornò in Europa per sottoporsi a terapie sperando di poter guarire. Un anno prima di morire riuscì con l’aiuto degli amici di sempre a registrare l’ultimo disco in presa diretta che ottenne uno straordinario successo. Il 9 ottobre 1978 morì all’ospedale di Bobigny, a Parigi. Qualche giorno dopo la sua salma venne deposta nel cimitero di Autona, nell’arcipelago delle Isole Marchesi della Polinesia Francese, poco distante dalla tomba di Paul Gauguin. Come artista era lontano anni luce da quelli a cui siamo attualmente abituati. Bastava un completo scuro e una camicia bianca sul palco. Quel che contava erano i suoi testi, la sua voce e la sua musica.

QUATTRO CANZONI DI JACQUES BREL

Visto che Jacques Brel è considerato il più grande cantautore di lingua francese, entriamo subito nel merito, partendo da “Quand on n’a que l’amour” del 1957. È la sua prima canzone di successo in cui proclama la forza dell’amore. «Con soltanto la forza di amare avremo nelle mani il mondo intero, amici», cantava Brel. C’è poi “Ne me quitte pas” dell’anno successivo, che è stata cantata in mezzo mondo, in cui si enumerano tutte le cose da fare per evitare di essere lasciati. Ma anche “Mon enfance”, canzone dolcissima del 1967 in cui canta tutto quello che gli ha lasciato l’infanzia fiamminga ed è caratterizzata dall’emancipazione della famiglia. Il tema del sogno domina in “La quete”, lanciata l’anno dopo. «Sognare un sogno impossibile», canta infatti Jacques Brel. Ma emozionante è anche quando arriva a parlare dell’amore. «Amare fino a spezzarsi: amare, anche troppo, anche male. Cercare, senza forza né armi, di raggiungere la stella inaccessibile». Parole cantante con quel crescendo di eccitazione che era la sua firma.