Giovedì prossimo sarà ricevuto dal presidente Mattarella e già immaginiamo che, al cospetto della massima autorità italiana, si sentirà più a disagio che davanti ai 15mila della Rod Laver Arena di Melbourne. Capelli rossi e fisico asciutto su due gambe che, a vederle in tv, non sembrano proprio appartenere ad un atleta di razza (eppure “ha nelle gambe l’agilità degli stambecchi” ha scritto su queste colonne Giuseppe Frangi con felice intuizione), Jannik Sinner è probabilmente il più italiano degli atleti altoatesini che abbiano mai raggiunto il massimo livello in campo sportivo. Perché da uno nato a San Candido e cresciuto a Sesto Pusteria (non stiamo a decantarne le bellezze naturali, fra l’altro esaltate dalla serie tv “A un passo dal cielo”, perché non basterebbe lo spazio di questo articolo) ci si attende che rispetti il cliché del ragazzo tutto d’un pezzo, due spalle larghe così, fisico possente, capelli biondi e magari anche un paio di baffi che in montagna, si sa, fanno sempre immagine. Diciamola tutta: più tedesco che italiano, visto che da quelle parti il passato austroungarico non è mai passato del tutto (lo conferma lo stesso nome di battesimo) e che il confine di Stato è proprio lì a due passi.



Per la verità, il nostro ventiduenne più famoso del momento è sì tutto d’un pezzo, ma in un altro senso. Le dichiarazioni rilasciate alla stampa di tutto il mondo dopo la sua prima vittoria in un Grande Slam ruotano, al di là delle considerazioni tecniche sulla partita, intorno a tre pilastri: la famiglia, il Paese, l’umiltà. Basta riportarne le frasi che li riguardano per farsene un’idea. “Ringrazio in particolare i  miei genitori perché non mi hanno mai messo sotto pressione. Quando da ragazzino perdevo una partita mi ricordavano che in fondo si trattava solo di un gioco”. “Essere in grado di rendere felice l’Italia è fantastico, perché sento che i tifosi spingono anche me, mi fanno credere in me stesso”. “Io sono sempre lo stesso ragazzo dell’altro ieri. Il momento è bellissimo, ma adesso ci tranquillizziamo e ci rimettiamo in riga. C’è tanto lavoro da fare”. Tre uscite pubbliche che fanno a pugni con quelle che siamo abituati ad ascoltare dai grandi dello sport o, meglio, a non ascoltare affatto, impegnati come sono ad esaltarsi dopo ogni vittoria, a piangersi addosso ad ogni sconfitta, a concentrarsi solo  sulla propria disciplina quasi che tutto il resto non esistesse o comunque non fosse tanto importante da citarlo. L’atteggiamento di Jannik va in tutt’altra direzione, ancora più apprezzabile date le umili origini di papà Hanspeter (ex-cuoco, immaginiamo bravissimo, ma non uno chef, come ormai va di moda dire) e di mamma Singlinde, ex-cameriera. Due mestieri che in quell’angolo di Bel Paese rappresentano il fulcro dell’economia turistica.



L’esplosione di successo registrato dal numero uno del tennis italiano e numero quattro del mondo (per ora, perché siamo convinti che la scalata possa proseguire) non è legato soltanto ai successi sul campo di gioco, ma anche a questa immagine di ragazzo per bene, senza grilli per la testa, coi piedi per terra e impastato di valori tradizionali, un insieme cui non siamo abituati da tempo a sentir citare. Certo qualche eccezione esiste (per esempio la discesista Marta Bassino, che più volte ha dichiarato il proprio legame con la famiglia e con la fede religiosa irrobustita da frequenti pellegrinaggi a Lourdes), ma se vogliamo fare un paragone più stretto con Sinner, la mente ci riporta indietro di mezzo secolo, alla figura silenziosa e parca di Gustav Thoeni, non per nulla altoatesino come lui. Quando il malcapitato giornalista televisivo lo costringeva a qualche dichiarazione davanti al microfono, il pluricampione alpino rispondeva a monosillabi concludendo le risposte dopo una manciata di secondi. Un altro paragone di altri tempi? In campo cliclistico Fausto Bertoglio, vincitore del Giro d’Italia 1975, che però non seppe reggere l’impatto col palcoscenico e si ritirò prima del tempo (o lo stesso Gigi Riva di cui le teche Rai conservano non più di un paio di
interviste). Spesso gente di montagna, guarda caso, chi per nascita chi per professione in un senso -le discese sugli sci- chi soprattutto nell’altro- le salite sui pedali. Da questo “impasto complessivo” è nata la nuova stella del tennis su cui punta il tifo di chi guarda oltre i successi e, speriamo, anche oltre il Festival di Sanremo; richiesto sul palco dell’Ariston, ha preso tempo: “Conoscendomi io non ci andrei. Canto malissimo, ballo peggio: sono negato. Qui a Melbourne hanno provato a farmi intonare lo jodel… Lasciamo perdere! Devo giocare a tennis, io”. Jannik il Rosso, l’italiano venuto da un altro pianeta.



 

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