Il grande tennista italiano Jannik Sinner ha rilasciato una bella intervista stamane ai microfoni del Corriere della Sera. Sinner si è recentemente ritirato dal torneo Parigi Bercy ma tornerà in campo per gli ATP Finals di Torino, sfidando sua maestà Djokovic: «Perché incontrare Djokovic agli ATP di Torino sarà diverso? Perché ti ritrovi davanti uno che ha vinto 24 Slam, tre su quattro solo quest’anno. A livello di risultati, il migliore che questo sport abbia mai avuto. Spero accada prima possibile: o vinco o imparo», racconta l’atleta italiano al quotidiano di via Solferino. E sempre parlando dell’appuntamento piemontese il 22enne spiega: «Il sogno di chiunque. I migliori otto dell’anno, a Torino. Era il mio obiettivo di inizio stagione, l’ho centrato in anticipo. Sono contento: è la conferma di un lavoro che funziona e di una stagione stabilmente ad alto livello. Bisogna anche considerare con quanti tornei ci si qualifica per le Finals, con quali risultati… La vita da globe-trotter non è semplice tra fusi orari, superfici, continenti. Giocare a Torino per me vuol dire tanto anche perché vivrò l’esperienza con il pubblico di casa. È una mentalità nuova, nella quale comincio a entrare. Mi piace quando la gente sale sul mio carro. Anche per questo ci tengo a far bene alle Finals».



E pensare che da piccolo Jannik Sinner sognava di fare lo sciatore: «Quando sei giovane, la pensi in modo diverso. Non ero maturo: ero affascinato da questo tipo folle (il suo idolo era Bode Miller ndr), lui estroverso e io timido (anche se quando conosco le persone, mi apro). Bode era diverso: stravinceva o si schiantava. E io sulla neve gli somigliavo: salivo sul podio o non arrivavo al traguardo. A 12-13 anni ho dovuto scegliere: ero vicecampione italiano di gigante (nello slalom ero negato), lo sci mi ha dato tante cose belle, a cominciare dalla capacità di gestire un vantaggio. Là secondi, nel tennis un break. A me questa sfida di amministrarmi da solo, decidere per me, esalta. Sono avanti un break? Okay, uso tutte le mie armi per tenermelo, e magari farne un altro. Quando sono stanco chiedo aiuto all’adrenalina, quando sono indietro nel punteggio c’è il tifo che mi spinge. Cerco la forza dove posso trovarla: se quel giorno non sento il rovescio, devo pescare altre risorse. Servizio, slice, dritto… Una specie di caccia al tesoro».



JANNIK SINNER E LA SUA VITA PRIVATA

Sulla sua vita privata Sinner ha svelato: «Ho una famiglia normale, nel senso che ognuno fa il suo lavoro. Il babbo si svegliava alle 7 di mattina, non si sapeva mai a che ora sarebbe tornato, faceva lo chef nel rifugio: il ristorante non ha orari. La mamma aiutava i nonni a pulire gli appartamenti, poi faceva la cameriera. Quando io tornavo da scuola, il miei non c’erano. Andavo dai nonni, Josef e Maria, a pranzo e a fare i compiti. Mark, mio fratello, è la persona più onesta e vera che io conosca. Quando sono in difficoltà, mi rivolgo a lui. E non ha importanza se non lo sento da giorni, magari parlo più con gli amici che con Mark, però lui mi conosce, e ha sempre la parola giusta. Abbiamo diviso la cameretta, siamo cresciuti insieme. Gli amici più cari sono quelli della scuola, non quelli che si avvicinano ora che sono un top player. A loro se vinco o perdo non gliene frega niente. Mi telefonano e la prima domanda è: come stai? È una cosa che mi tiene ancorato, che mi dà forza. Quando chiamo i miei, nemmeno rispondono se sono presi. Sto parlando di vita vera: la mia pressione è niente in confronto a quella di un chirurgo, di un capofamiglia che deve mettere in tavola la cena. Questa è pressione: non sapere si ti entra un razzo in casa tra cinque ore o cinque giorni. Giocare a tennis è una cosa di cui sentirsi onorati. Mi rende felice ma è giusto avere dubbi».



E ancora: «Il momento ideale è con i miei amici, intorno a un tavolo, sparando cavolate. Parliamo, parliamo, parliamo. E ridiamo. Sai quando a scuola tiravi le palline di carta con la cartuccia della biro? Facciamo queste cose qui, da bambini di cinque anni. A Sesto ci troviamo a casa di un amico per giocare a Activity. Mi piacciono le cose semplici. Sto bene così. Poi mi diverto anche con i go-kart, ma fare niente con gli amici è il mio passatempo preferito». Sinner ammette comunque di sapersi anche commuovere: «Cosa mi fa piangere? Quando è mancato il nonno, a gennaio, ero in volo di ritorno dall’Australia. Sono atterrato a Milano alle 6, il nonno era morto alle 4. Ho trovato il mio babbo in aeroporto: è stato zitto ma ho visto subito che c’era qualcosa che non andava. Me l’ha detto per strada, e mi sono trattenuto. Questo non lo sanno nemmeno i miei genitori: poi, da solo, in cameretta, qualche lacrima è scesa. È normale».

JANNIK SINNER: “PER IL TENNIS VIA DI CASA A 13 ANNI”

E ancora: «Per il tennis sono andato via di casa a 13 anni. Mi dà emozioni positive e negative, gioie e dolori. Mi dà tutto. Respingo il concetto di essere un’azienda: il mio pensiero non è il fatturato, non sono mai i soldi. Se lo fossero giocherei sempre, accetterei le esibizioni, non prenderei pause. A me al contrario interessa alimentarmi bene, dormire le ore giuste, mangiare a casa ogni volta che posso, farmi trovare in campo pronto la mattina dopo. Pronto a migliorare. Se non gioco il Master 1000 di Madrid o il girone di Davis, e capisco che i tifosi magari ci rimangono male, è perché sono a Montecarlo che mi spacco di lavoro. Il mio obiettivo non è fare soldi: è diventare la migliore versione di me possibile. Numero uno del mondo? Boh, vedremo. Magari n.4 è il mio limite. Desidero scoprirlo. E per farlo devo dire di no a qualcosa, sennò la stagione diventa interminabile. Quest’anno chiuderò con 22 tornei giocati: meno gare, più blocchi di lavoro. Dicono: Jannik è diventato più muscoloso. Eh, certo… Anziché andare in giro mi sono chiuso in palestra. Solo così si cresce, secondo me».

Sullo scandalo scommesse nel calcio: «Sono ambienti diversi, io quello del calcio non lo conosco. Ma nemmeno la noia so cosa sia. Questa è la vita che sognavo da bambino, la proteggo. E se proprio mi annoio, mi costringo a prendere in mano un libro: non voglio stare troppo sul cellulare. Ho in valigia La cena , un thriller: due coppie si ritrovano il 31 dicembre, e succede un casino. Vediamo se arrivo in fondo…». Quindi Sinner ha concluso con il suo sogno nel cassetto: «La salute dei miei. E continuare a vivere la vita che piace a me, anche dopo lo sport. Ci penso: chissà cosa farò, poi? Di certo desidero occuparmi delle cose che posso controllare: la dedizione al lavoro, la programmazione, la mia testa, che mi sto impegnando a conoscere. Il resto, che vada come deve andare. Ma spero di rimanere bambino il più a lungo possibile perché solo i bambini, facendo cose semplici, sanno godersi il momento».