Due settimane fa è morto, all’età di 91 anni, Jean-Luc Godard. Leggenda del cinema durante la sua vita, ha lasciato dietro di sé un’opera importante composta da oltre 70 film e “una settima arte” che ha rivoluzionato, non solo in termini di tecniche, ma anche grazie al modo in cui guardava la società e di cui coglieva gli sviluppi e gli interrogativi nelle sue opere.
La leggenda è iniziata nel 1960 con il suo primo film À bout de souffle (“Senza fiato”) che ha avuto un successo mondiale. La storia oggi banale di un giovane che uccide un poliziotto e si innamora di una ragazza americana che poi lo tradisce, rivoluziona il cinema dell’epoca, non abituato a rappresentare non solo la giovinezza ma certamente non l’assassinio di una figura autoritaria, e fece così intravedere la complessa personalità di un regista provocatorio che era adulato o incompreso, ma che non lasciava mai nessuno indifferente.
Regista che ha fatto parte della Nouvelle Vague, JLG come è conosciuto oggi, ha rotto con i codici cinematografici del passato, in particolare mettendo in discussione l’importanza delle sceneggiature. Era un elettrone libero, un indipendente che ha dimostrato un’eccezionale libertà artistica: telecamera in spalla, riprese in ambienti naturali, sostenitore dell’improvvisazione, della spontaneità e della semplicità, rifiutava l’artificio e le maniere e parlava dei doveri degli attori di cui condannava la megalomania. Gli attori però lo adoreranno e lui lavorerà con le più grandi star.
Scrittore appassionato di letteratura, amante delle formule, alcune delle quali sono diventate oggi frasi mitiche, è stato anche il più pittore dei registi, utilizzando i colori per rendere ogni scena un quadro. In “À bout de souffle”, come nella maggior parte dei suoi film, metterà in scena e al centro delle sue storie una gioventù che dal maggio ’68, evento che segnerà il ribelle che era, farà sentire la sua voce. Al Festival di Cannes dello stesso anno, disse: “Io vi parlo di solidarietà con gli studenti e gli operai e voi mi parlate di travelling e primi piani! Siete degli idioti”.
Curioso e generoso, chi lo ha conosciuto ne ha lodato l’umorismo e la grande cortesia. Radicale nelle sue parole, nelle sue decisioni e nelle sue riflessioni, voleva che alimentassero la discussione e facessero evolvere il dibattito. Cineasta impegnato, i suoi film portavano forti messaggi politici: “Le petit soldat” sulla guerra d’Algeria, “Le mépris” sul cinema, “La chinoise” sul maoismo, “Deux ou trois choses que je sais d’elle” sul capitalismo. Era contrario alla guerra in Vietnam e ha girato un western sul marxismo-leninismo. Alcune delle sue prese di posizione lo hanno reso una figura controversa: il suo discorso pro-palestinese gli è valso accuse di antisemitismo e il suo film “Je vous salue Marie”, in cui ha presentato una natività contemporanea e molto provocatoria, ha suscitato le ire del Vaticano.
Nel suo omaggio, Emmanuel Macron ha scritto: “È stato come una apparizione nel cinema francese. Poi è diventato un maestro. Godard, il più iconoclasta dei registi della Nouvelle Vague, aveva inventato un’arte decisamente moderna e intensamente libera. Stiamo perdendo un tesoro nazionale, una visione geniale”.
Jean-Luc Godard ha trascorso la sua vita esplorando la sua arte, sperimentando. Ricorrendo al “suicidio assistito” in Svizzera, dove è autorizzato, anche se, secondo i suoi cari, “non era malato ma solo esaurito”, e desiderando che la sua decisione fosse resa nota, ha compiuto un ultimo atto politico in un momento in cui in Francia si apre di nuovo il dibattito sull’eutanasia. Maestro del cinema, era senza dubbio un maestro della “mise en scène”.
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