È morto a Strasburgo nella sera del 23 agosto il filosofo Jean-Luc Nancy, 81enne e uno degli ultimi rappresentanti del pensiero decostruzionista francese che ha segnato il Novecento: amico e discepolo di Jacques Derrida, suo relatore di laurea, iniziò la sua fulminante carriera culturale pubblicando lavori su Nietzsche e Marx, ma fu poi con le analisi su Kant che iniziò il lungo percorso che lo portò a diventare dottore di stato a Tolosa nel 1987. “L’esperienza della libertà” era il titolo della tesi sull’opera di Kant, Schelling e Heidegger, diventando poi sempre più prossimo al decostruzionismo dell’amico Derrida.
Come riporta il focus dell’ANSA sulla sua carriera, Nancy negli anni «percorre e affronta tutte le contraddizioni e la complessità delle riflessioni della seconda metà del Novecento, elaborando un interesse sociale ed estetico che indaga politicamente il nostro essere pensante e corporeo quale individuo e membro di una società». I temi della comunità e dell’essere “assieme” rappresentano i punti di forza del pensiero di Nancy, giunto fino ai nostri giorni: il “sogno” del filosofo francese riguardava quella ’comunità originale’ armoniosa la cui positività è purtroppo venuta meno nel corso della storia, trasformandosi in una società sempre più tecnocratica di uomini e donne egoisti «senza più valori e coscienza comunitaria, in cui è facile prevalga la violenza».
CHI ERA JEAN-LUC NANCY
«Jean Luc Nancy è morto. Trapiantato di cuore grazie a una donatrice di colore, scrisse ne L’intruso, a proposito del dono che è l’altro: l’unico modo per accettarlo e integrarlo davvero, è abbassare le nostre difese. L’intruso, il corpo estraneo, è ciò che salva», scrive su Twitter la docente dell’Accademia di Brera, Cristina Muccioli. Come lei, tanti altri ricordano la figura di Jean-Luc Nancy come dirimente la cultura e filosofia europea del Novecento: «Siamo vissuti avendo fiducia nel progresso, per scoprire che non sempre si cambia in meglio – spiegava Nancy in occasione dei sui 80 anni – e a provarcelo, tra l’altro, c’è la nascita di una coscienza dei gravi problemi ecologici del nostro pianeta: io vedo nel virus il rivelarsi di qualcosa che stava già accadendo e che ci ha dimostrato inoltre come nessuno di noi, pur chiuso nella sua solitudine, sia un essere isolato». In un’altra riflessione rilascia alla rivista Alfabeta nel marzo 2018, il filosofo senza mezzi termini dichiarava: «Se non sappiamo più cos’è la democrazia, significa che questa parola non ha più senso. Sappiamo cosa sono lo Stato diritto, i diritti umani, le libertà fondamentali, il principio di uguaglianza… ma democrazia significava qualcos’altro: una società in cui queste definizioni formali sono reali e dove il potere è in grado di realizzarle per il popolo e dal popolo». Al centro della sua produzione l’idea che la comunità e “l’essere insieme” siano il vero fondamento irrinunciabile anche per la società presente e futura: «dobbiamo solamente reimbarcare a vivere. Siamo bambini, ricreiamo una lingua, troviamo questo coraggio», scriveva Nancy in uno degli ultimi lavori nato dall’esperienza durante la pandemia Covid-19, “Un virus così umano”. Sul coronavirus, Nancy lo definiva «un comunovirus che spinge a reagire insieme per raggiungere una inedita comunità umana capace di contrastare la propagazione della pandemia».