“JEFFREY BABY ABUSATO UN ANNO PRIMA DI SUICIDARSI”
Jeffrey Baby, all’anagrafe Jordan Tinti, si è suicidato un anno dopo esser stato vittima di abusi sessuali da parte di un compagno di cella, che ora deve andare a processo e rispondere dell’accusa di violenza. La procura aveva chiesto l’archiviazione per tale vicenda, ma l’istanza di opposizione del legale della famiglia del rapper è stata accolta dal gip del tribunale di Pavia, che ha disposto l’imputazione coatta.
Il giovane sarebbe stato stordito con un farmaco e poi abusato in carcere dal compagno di cella, l’anno successivo si è suicidato impiccandosi. Peraltro, su quest’ultima vicenda il padre del ragazzo da tempo chiede venga fatta chiarezza, non escludendo una pista differente rispetto a quella del suicidio, anche perché il figlio gli aveva confidato di subire violenze fisiche e psicologiche in carcere.
A processo, stando a quanto ricostruito dal Corriere, va un 50enne che ora è detenuto nel carcere di Cremona, ma all’epoca dei fatti condivideva il posto in cella con Jeffrey Baby e un terzo detenuto. Il gip di Pavia ritiene che il racconto dell’aspirante trapper abbia diversi riscontri, cominciando da una testimonianza, quella dell’altro detenuto. Il padre di Jordan Tinti, attraverso il suo legale, ha fatto sapere che si costituirà parte civile al processo.
LA VIOLENZA AI DANNI DI JORDAN TINTI
Stando a quanto raccontato da Jeffrey Baby, la notte della violenza voleva farsi fare un tatuaggio sulla pancia dal compagno di cella, che però gli avrebbe somministrato un farmaco antipsicotico che viene fornito a chi soffre di disturbo bipolare, assunto da entrambi per le rispettive cure. Durante il sonno del ragazzo, il 50enne avrebbe abusato di lui, iniziando a toccarlo insistentemente nelle parti intime. Jordan Tinti si sarebbe svegliato, evitando che la violenza andasse oltre, urlando e chiedendo aiuto all’altro detenuto, poi all’agente di turno, quindi ha sporto denuncia.
I PROBLEMI CON LA LEGGE E IL SUICIDIO
Jeffrey Baby aveva mostrato di avere grande passione per la musica sin da piccolo e aveva provato ad emergere come trapper, ma purtroppo era riuscito a far parlare di sé per le vicende di cronaca che lo hanno visto suo malgrado protagonista, in particolare per i suoi problemi con la legge. Ad esempio, nel 2019 salì sul tetto di un’auto dei carabinieri proferendo insulti contro le multinazionali nel tentativo di promuovere il suo singolo.
Invece, nell’estate di due anni fa insieme a un altro trapper, Giancarlo Fagà, noto come Traffik, fu coinvolto in una rapina in Brianza ai danni di un immigrato nigeriano, che fu privato della sua bici e di uno zaino, ma anche insultato. La scena finì in un video poi condiviso sui social. Lui e l’amico furono condannati a 4 anni e mezzo per rapina, venne anche riconosciuta l’aggravante dell’odio razziale, ma l’accusa venne ridimensionata per Fagà, che fu l’unico dei due a portare in appello la vicenda. I due finirono insieme in cella, ma la convivenza non andò bene: due mesi fa, infatti, il trapper romano è stato condannato a 3 anni per maltrattamenti. Ma la sentenza è arrivata dopo la morte di Jeffrey Baby.
A tal proposito, la procura di Pavia sta indagando sul suicidio e la speranza della famiglia è che l’inchiesta non finisca nel nulla, come rischiava di accadere per la violenza sessuale. Infatti, il padre dell’aspirante trapper si aspetta chiarimenti dall’inchiesta, visto che non è affatto convinto che il figlio si sia tolto la vita. Al padre aveva riportato ciò che viveva in carcere, anche i maltrattamenti subiti da Traffik.
Ora porta lui avanti la battaglia per la verità, come gli aveva chiesto di fare il figlio in una lettera scritta al padre dopo un tentativo di suicidio, nel quale parlava apertamente della depressione di cui soffriva e in cui chiedeva scusa per il dolore che gli aveva causato in quegli anni e per quel gesto disperato con cui voleva porre fine ai suoi problemi.