Jerry Calà ha almeno due motivi validi per festeggiare: è prossimo ormai ai 70 anni di cui 50 di carriera. A “svecchiarlo”, ammette in una recente intervista a Il Fatto Quotidiano, è stato suo figlio 18enne. Il ragazzo sin da piccolo ha partecipato alle riunioni di ‘famiglia’, quelle che vedevano anche la presenza di Oppini, Smaila, Salerno e Abatantuono: “quindi ci ha sentiti raccontare di tutto, ridere, le battute. Sa bene chi è suo padre”, ha ammesso. Pur avendo come tutti i suoi segreti, ha aggiunto: “Sono abbastanza un libro aperto”. Tra i tanti aneddoti raccontati nel corso dell’intervista, anche quello che negli anni ’70 lo ha visto nascondersi nel bagagliaio di una Volvo salvo poi ritrovarsi i mitra dei poliziotti puntati contro durante un posto di blocco: “Sono riuscito a urlare ‘Non sparate!'”, rammenta.
Nato in Sicilia ma cresciuto a Milano, il nome Calogero ha ammesso di avergli creato qualche problema negli anni Cinquanta: “a scuola quando era il momento dell’appello nel cortile non rispondevo mai presente, altrimenti avrebbero riso tutti”, dice.
JERRY CALÀ, GLI ESORDI E LE CRITICHE
Jerry Calà ha ammesso di aver iniziato a comprendere il suo valore all’età di 16 anni: “Suonavo la chitarra in un complessino di Verona, ero il più grande, e già allora ho capito la potenza della strizzatina d’occhio dal palco; poi quella strizzatina è stata affinata nella fase con I Gatti e ha svelato le mie capacità comiche. La mia accademia d’arte è stata direttamente il palcoscenico”, ha ammesso. Lui, a differenza di molti della sua età in quegli anni ha ammesso di non aver rischiato di perdersi “perchè non ero da solo, ed è stata la mia fortuna; eravamo un gruppo, ci difendevamo e forse dei quattro ero il più scapestrato”. Ma a dargli filo da torcere ci ha pensato Diego Abatantuono. Ad intimorirlo invece c’era Jannacci perchè, ammette, “quando parlava non lo capivo”. Nella vita ha spiegato di essere sfuggito per tanti anni “al matrimonio”. Con le donne però “mi sono dato da fare” confessa. In 50 anni di carriera non sono mancate neanche le critiche: “Mi hanno detto qualsiasi cosa, però quando sono andato al Festival di Berlino con il film di Marco Ferreri, una sera entro in un ristante e lì il Gotha della critica italiana si è alzata per applaudirmi ‘Abbiamo capito che sei un bravo attore'”. I complimenti non sono arrivati solo dalla critica, dice, ma anche da Herzog.
IL COVID, I SUOI 70 ANNI E I RIMPIANTI
I 70 anni sono arrivati anche per Jerry Calà. Da ragazzino vedeva i 45enni anziani ma ha ammesso di aver sentito il peso dell’età quando, a 52 anni, è diventato padre. “E invece sono qui e non sono male, ho ancora in palco e un pubblico, ha ammesso”. Quindi uno sguardo all’ultimo anno e mezzo. Pensando al Covid ha ammesso di essergli costato concretamente 130-140 serate, “ma la questione è più psicologica”, ammette. “Mi ero abituato a stare i weekend fuori, a girare l’Italia con il mio gruppo. Il rischio è stata la depressione”. La depressione non l’ha conosciuta neppure quando ha rischiato di morire a causa di un incidente. Indubbiamente non può fare a meno che definirsi una persona fortunata “soprattutto da quando ho eliminato l’angoscia del lavoro”, dice. Tra i suoi rimpianti, la chiusura del rapporto con De Laurentiis ma questo le ha aperto la porta a Ferreri che lui ha definito “un uomo dolcissimo, gentile”. A cosa ha rinunciato? “Forse alla vita di un normale ventenne e al rapporto con la mia fidanzata dell’epoca. Ragazza bellissima”, ha asserito. Semmai dovesse volgere lo sguardo indietro, la prima cosa che gli viene in mente è “io e mio padre a Verona, davanti al cinema, mentre da buon siciliano mi porta a vedere Franco e Ciccio”. Il padre all’inizio non era orgoglioso di lui “mi voleva ingegnere o medico, invece abbandonai l’università dopo un anno”.