C’è una foto scattata il pomeriggio del 4 dicembre 1956 che li coglie tutti insieme per la prima e unica volta: Elvis, Johnny Cash, Carl Perkins e Jerry Lee Lewis, i cosiddetti quattro padri fondatori del rock’n’roll. Sono agli studi della Sun Records a Memphis, dove Presley due anni prima ha inciso quel singolo che ha lanciato quella musica nuova, misteriosa e ribelle nel mondo. Un anno dopo, un ragazzone grande grosso negli stessi studi ha inventato un’altra formula musicale, il rockabilly, si chiama Johnny Cash. Poi è arrivato Carl Perkins con le sue “scarpe di velluto blu” e infine il più giovane di tutti, una sorta di delinquentello: si chiama Jerry Lee Lewis e solo due giorni prima ha pubblicato il suo primo singolo. Passano insieme alcune ore a cantare e, se qualcuno si fosse aspettato un concerto rock senza precedenti, i quattro invece si esibiscono in una sorta di lezione su dove sia nato il rock’n’roll: canzoni gospel, vecchi brani country, doo-wop, blues, pop. È il loro terreno comune, è la musica che quei quattro avevano sempre ascoltato da bambini alla radio e cantato nei cori in chiesa.



Sono ragazzi del sud e quella è la loro musica, sono stati educati alla fede cristiana, ai buoni valori, e sono consapevoli che quando fanno rock’n’roll tradiscono tutto quanto e si gettano nelle mani del diavolo. Ma cavolo: è più divertente un sabato sera che una domenica mattina, soprattutto quando quei valori diventano moralismo opprimente. Per la prima volta nella storia c’è qualcuno che dice che essere giovani è bello e promette che tutta la vita sarà come un sabato sera.



JERRY LEE LEWIS: LUI ERA “THE KILLER”

Amburgo, Germania, 5 aprile 1964, quartiere a luci rosse. Lo Star Club è lo stesso locale malfamato dove pochi anni prima i Beatles si sono fatti le ossa suonando davanti a ubriaconi, prostitute, delinquenti assortiti. Quella sera sta per salire sul palco Jerry Lee Lewis. Non è più la star mondiale che era negli anni Cinquanta. Ha trasgredito una volta di troppo, sposando la cugina tredicenne. Il mondo dello spettacolo gli ha voltato le spalle, la parola più gentile che si è sentito dire è “pedofilo”. Ma, a differenza di Elvis, che si è dato alle commediole sentimentali a Hollywood, a Little Richard che si è pentito ed è diventato un predicatore, a Johnny Cash che è ormai un drogato, lui ha continuato a esibirsi ovunque potesse. Quella sera ad Amburgo come sempre appare sul palco, tira fuori dalla tasca un pettine e se lo passa nei capelli in un gesto di sfida, fregandosene di chi ha davanti: si esibirà in uno dei concerti più devastanti e incandescenti della storia del rock. Perché lui è The Killer, come lui stesso si era nominato. Il pianoforte per lui è una estensione del suo corpo: martella i tasti, scalcia via il seggiolino, lo pesta con i piedi, ci salta sopra e ulula la sua sfida al diavolo: great balls of fire, quelle vampate di fuoco che nella Bibbia simboleggiano l’ingresso all’inferno.



In un settore popolato da dozzine di imitatori di Elvis, Jerry Lee Lewis era emerso come un gigante, un intrattenitore dotato di talento spontaneo, esuberanza musicale e genio per l’autopromozione di se stesso. Nonostante avesse incontrato ostacoli che avrebbero scoraggiato chiunque, il suo ego lo aveva spinto a perseverare. Fino a quando è stato vivo non ha permesso a nessuno di dimenticarsi che lui era The Killer.

JERRY LEE LEWIS: QUANDO DIEDE FUOCO A UN PIANOFORTE (LEGGENDA O VERITÀ?)

Quello spirito è racchiuso tutto nella sua Whole lot of shakin’ going on: un tempo scandito senza interruzione dal pianoforte, una voce che è l’incarnazione della lussuria sfrenata, un testo mascheratamente osceno. Sul palcoscenico Jerry Lee Lewis incarnava dissoluzione ed empietà, pestando la tastiera, arrampicandosi sul coperchio dello strumento, e dopo aver preso possesso della sommità del suo strumento dava l’assalto alla cultura dei bianchi incarnando lo spirito dei neri scuotendo le lunghe ciocche di capelli sulla fronte.

Secondo la leggenda, una sera che doveva esibirsi prima di Chuck Berry, cosa che lasciava al collega lo spot principale, quello finale, si infuriò talmente che, preso un accendino e gettata della benzina sul pianoforte, gli diede fuoco urlando: “Voglio vedere chi ha il coraggio di uscire fuori dopo di me adesso!”. Ma si paga sempre un prezzo. Scivolato nel dimenticatoio, punito dalla stessa cultura che aveva voluto sfidare, Jerry Lee Lewis fu obbligato a venirne a patti. Si mise a incidere dischi di musica country, quella dei buoni valori sani, ottenendo un enorme successo anche in quel campo. Il figliol prodigo era tornato a casa. Ma dal vivo non ha mai rinunciato a scatenare le sue vampate di fuoco sul pubblico. Nessuno come lui, mai. Nel mondo del rock’n’roll nessuno ha mai fermato il Killer.